giovedì 28 agosto 2014

Tunisia - giorno 2 - La festa dello sposo

Il secondo giorno di festeggiamenti inizia all’insegna del relax. Sappiamo che la sera si farà molto tardi, quindi decidiamo di trascorrere la mattinata nella piscina del nostro hotel. La struttura cinque stelle che abbiamo scelto, bellissima dal punto di vista estetico, è un po’ carente da quello dei servizi, ma la grande piscina di acqua salata è davvero uno spettacolo. Dicono che la mattina bisogna fare presto a prendere i lettini, perché sono pochi rispetto agli ospiti effettivi dell’hotel. E’ una caratteristica che ho letto in tante recensioni di hotel simili a questo, ed è una cosa che mi fa un po’ rabbia. Ricordo una vacanza a Sharm El Sheik in cui, nonostante le ore piccole della sera prima, dovevo alzarmi all’alba per trovare posto sotto uno degli ombrelloni disponibili. Cose come questa rendono la vacanza un po’ meno vacanza, perché sei costretto a puntare la sveglia ricreando la stessa routine di obblighi e orari che segui tutti i giorni nella tua città.
 
In questo caso non mi pesa molto, per una mattinata al sole in completo relax ci si sacrifica volentieri. E poi la colazione è, già di per se, un premio allettante: nell’enorme salone pieno di tavoli (ancora abbastanza vuoto, per fortuna) si trova un buon assortimento di cibarie dolci e salate. Diversi tipi di brioches (io scelgo quella guarnita al pistacchio), torte, pane e marmellata confezionata e non, pietanze arabe e continentali degne di un turista nord-europeo (non ce la farò mai a far colazione con le uova strapazzate, dopo New York a 14 anni, ho rinunciato definitivamente all’idea di iniziare la mattinata con un piatto che potrebbe tranquillamente essere il mio pranzo), addirittura il banco delle crêpes da preparare al momento. L’unica cosa che non ci convince è lo yogurt, che in quelle grandi ciotole ha l’aria poco rassicurante (e un po’ cagliata), perciò ripieghiamo su quello confezionato per bambini con i pupazzetti sulla confezione, al gusto un po’ inquietante di “fragola-banana”. In cambio c’è la frutta secca da metterci dentro, fichi e datteri compresi.
 
Dopo esserci rifocillati e aver preso il nostro cappuccino un po’ finto erogato, da una di quelle diaboliche macchinette miscelatrici che oggi vanno tanto di moda nei bar degli hotel, ci avviamo in piscina. E’ presto e di posti ce ne sono a volontà, riusciamo persino a mettere tutti i lettini vicino in un posto comodo e ombreggiato. Anche la piscina diventa una nuova esperienza, guardandosi attorno, perché la clientela dell’hotel è assolutamente variegata e suscita stupore soprattutto per i grandi contrasti culturali che riescono a convivere in modo più che pacifico in uno stesso ambiente. Parlo soprattutto delle donne. Perché gli uomini, alla fine, con un paio di pantaloncini, sono uguali in tutto il mondo. Ma le donne no, per loro è diverso. Ci siamo noi, le occidentali, con i nostri due pezzi, c’è la donna dell’Est con bikini striminzito e le enormi tette rifatte, e poi ci sono le donne arabe, coi loro “costumi da bagno” che un occhio, o meglio una “visione”, come la nostra riesce a comprendere solo fino a un certo punto. Perché per alcune donne arabe il “costume” da bagno è comunque un vestito che copre interamente il corpo, composto da una tuta nera che lascia scoperti solo piedi e mani, a cui si sovrappone una specie di vestitino fantasia, come un prendisole di altri tempi, spesso accompagnato da un improbabile cappellino a cuffietta dello stesso colore. A noi sembra buffo, visto così, ma nei negozi della città scopriamo che si tratta di tenute “di moda” tra chi segue un certo tipo di convinzioni religioso-culturali. Di ritorno dal mio viaggio ho fatto una ricerca e ho scoperto che questo tipo particolare di costume si chiama “burkini”, esiste in vari modelli e pare sia nato anche un bel business, dato che il nome è un marchio registrato e che il prezzo di questi abiti da spiaggia sia alto né più né meno come quello di un bel due pezzi di casa nostra. Se volete saperne di più ne trovate alcuni in vendita su questa pagina.  Naturalmente in Italia sono nate tantissime polemiche sull’uso di questo capo d’abbigliamento, ma lascio i giudizi di valore ad altre sedi, io ho solo trovato molto divertenti (e belle, da un lato) le differenze così nette – e spesso estreme – tra una cultura e l’altra e mi ha fatto piacere osservare la possibilità di “coesistenza” tra loro. 
Perciò mattinata all’insegna di sole, bagni, e lezioni gratuite di antropologia culturale.

La bellissima piscina di acqua salata dell'hotel

Vale e il nuovo tatuaggio in pieno relax

Il pranzo “light” viene consumato al punto ristoro della piscina. In albergo di ristoranti ce ne sono almeno quattro, con menù e prezzi diversi. Quello all’aperto è molto informale ed ha una scelta abbastanza limitata, ma consente di mangiare all’ombra di una bella tettoia godendosi il fresco. L’unico neo sono i tempi di attesa. Dopo la prima esperienza, nei giorni successivi, già preparati, sappiamo che è necessario ordinare quasi un’ora prima di essere serviti, anche per una semplice insalata. I piatti sono buoni, anche se molto semplici, i costi accettabili.  Decidiamo di tenerci leggeri perché la sera ci aspetta un’altra cena: quella della festa dello sposo.
 
Questa volta riusciamo a concederci un po’ di sano relax prima di prepararci per la serata, anche se il taxi viene a prenderci piuttosto presto. Dobbiamo tornare alla casa dello sposo per la “sua” serata, e sappiamo già in partenza che si faranno le ore piccole. Stavolta, muovendoci dall’hotel verso le 18, restiamo intrappolati per parecchio (troppo) tempo nel traffico della domenica. Percorrere la stessa strada del giorno precedente diventa un’epopea. Le strade di Roma nell’ora di punta ci sembrano all’improvviso un quadro di ordine e disciplina…le macchine che ci circondano sono assolutamente ingestibili e mettono a dura prova la pazienza del nostro autista. Lo smog è alle stelle, l’aria è densa delle nuvole grigie degli scappamenti, le auto creano intrecci e nodi indistricabili, ogni punto è buono per tentare di superare quella marea lenta di lamiera e motore, si sale sui marciapiedi, approfittando di un angolo libero, si frena, si sterza, si dribblano i vicini, ci si incastra come in un tetris mobile senza soluzione di continuità. A più riprese il nostro autista si prende il volto tra le mani, con aria disperata. Il viaggio che la sera prima è durato un’ora scarsa diventa di quasi due ore e all’arrivo il conducente dichiara stremato “qui non ci torno più”…come se fosse nostra la colpa di tutto quel caos.

Ovviamente siamo ben felici di lasciare la vettura e di ritrovare ad attenderci i parenti dello sposo. Stavolta i partecipanti alla festa sono diventati molti di più, primo perché sono arrivati altri fratelli, che in genere abitano all’estero, con le loro famiglie, secondo perché a questa particolare festa sono invitati anche tutti i vicini del quartiere, fino a superare il centinaio di persone.
 
L’evento si svolge, infatti, per la strada, proprio davanti alla casa dello sposo. Dal pomeriggio un cuoco, ingaggiato per l’occasione, sta preparando le pietanze tipiche che compongono il piatto della cena e che sarà distribuito a breve: cous cous con ceci, carne stufata, mechouia, insalata, verdure. Davanti al portone è allestito un palchetto, su cui prenderanno posto i musicisti. La musica della festa è quella eseguita con gli strumenti tradizionali: il mizwid, una specie di cornamusa che ha ancora la forma della pecora da cui è ricavata, la darbuka (tipico strumento a percussione arabo) e i bendir, grossi tamburi a cornice in pelle, che vengono fatti scaldare mettendoli ai lati del kanun, braciere di terracotta in cui si bruciano grani di incenso, simbolo di buon augurio.
 
Preparazione del kanun - photo by Roberto Perrone
 
 
I bendir vengono esposti al calore del kanun

Il mizwid - photo by Roberto Perrone

I tamburi si scaldano sul kanun - photo by Roberto Perrone
 
Ai lati del palco sono disposte le sedie degli spettatori, che si dispongono rigorosamente divisi secondo il genere: gli uomini tutti a sinistra e le donne tutte a destra. Impensabile l’idea di assistere al concerto seduta accanto a mio marito. Mi trovo, invece, circondata da donne di tutte le età, chi arriva tardi cerca una sedia libera e “si incastra” tra le altre spettatrici. Questi eventi pubblici diventano spesso anche un modo per “vedere e farsi vedere”: come nelle nostre feste di matrimonio, le donne in cerca di marito indossano i loro vestiti migliori e sfoggiano il look più curato, nella speranza di trovare il compagno giusto…alla fine, nella diversità, abbiamo molte più somiglianze di quelle che potremmo immaginare.

Dopo la cena anche noi prendiamo posto per assistere alla festa. La musica è sicuramente diversa da quella araba a cui sono abituata, è di sicuro molto più “tribale” e antica…ma il ritmo resta sempre coinvolgente, tanto che, nonostante il volume assordante degli amplificatori, la gente difficilmente resta seduta e molti si lanciano allegramente nelle danze. Ha inizio la magia, crollano le divisioni, donne e uomini si incontrano al centro, davanti al palco, e spesso danzano assieme. E’ un ballo fatto di passi semplici, spesso in tre tempi, fatto di movimenti di fianchi e generalmente eseguito con le braccia allargate, ha un’allegria contagiosa, e non è difficile cedere agli inviti delle mie ospiti e buttarmi nella mischia con loro. Mi piace molto guardarmi attorno e vivere l’euforia generale…i più divertenti sono sicuramente i bambini, che spesso fanno da “riempi-pista” lanciandosi in assoli con l’abilità di ballerini provetti. Ma è bello anche vedere le diverse generazioni riunite assieme sulla “pista” che saltellano sorridendo, è un’atmosfera speciale che raramente si trova nelle nostre feste molto più “ingessate”, dove gli ospiti spesso evitano di lasciarsi andare, anche in occasioni danzanti.
 
Alla fine del concerto, arriva il momento dell’”uscita di casa“. Vestito con una tunica bianca, il dito mignolo colorato di henné, un copricapo rosso in testa, lo sposo viene portato in spalla da familiari e amici e “sfila” tra gli applausi dei presenti. La musica continua, si liberano nel cielo lanterne volanti, lo sposo viene “lanciato” in aria e sorretto dagli amici tra risate e grida. La festa è al culmine, le donne distribuiscono sacchettini di confetti a tutti gli ospiti, si sparano fuochi artificiali e razzi luminosi. Lo sposo balla in equilibrio su un tavolo sorretto dai più forti della famiglia. La gente ride e applaude, la musica continua e sulle sedie non è rimasto più nessuno a guardare, tutta la strada partecipa a questo momento di gioia e di euforia.
 
Alla fine del festeggiamento, una pausa dal caos, arriva il momento dei regali: amici, parenti e vicini regalano allo sposo una somma in denaro, che viene raccolta in un cestino. Il cantante del gruppo è delegato a ringraziare personalmente ogni invitato al microfono per ogni singolo dono.
 
La musica continua ancora per un po’, poi piano piano i musicisti iniziano a riporre gli strumenti e a sgomberare il palco. Le sedie vengono impilate, la strada ripulita, riprende lentamente la normalità e il silenzio della notte. La gente comincia a salutare e torna a casa, un po’ stordita ma sorridente. E’ stata una bella festa, un momento di condivisione e di gioia per tutti.
 
Un’occasione come questa è un piccolo tesoro che custodirò come un gioiello prezioso, se la memoria mi tradirà, spero che restino almeno le parole scritte a ricordarlo. Partecipare ad una festa circondata dal calore di una famiglia lontana così diversa dalla mia, sorridersi e capirsi senza parlare la stessa lingua, ballare assieme creando per qualche istante un legame universale che riesce a superare qualsiasi tipo di differenza religiosa o culturale…sono istanti magici da conservare e, se si può, da condividere. Spero di avervi fatto assaggiare almeno un pezzetto di questa atmosfera speciale…vi racconterò ancora di questa esperienza nel prossimo post, che parlerà dei festeggiamenti organizzati, finalmente, per entrambi gli sposi.  

lunedì 25 agosto 2014

Tunisia parte 1 - la festa della sposa

Importante: in questo post non appaiono foto dei "protagonisti" per questioni di privacy. Ringrazio la mia amica sposa per avermi autorizzato a pubblicare alcune immagini di questi momenti speciali. Le foto sono mie, oppure, dove indicato, dell'amico Roberto Perrone.

Il nostro arrivo in hotel (di cui parlerò in modo più approfondito in un altro post) è stato piuttosto movimentato, perché, dato che siamo arrivati in ritardo rispetto all’orario prestabilito, abbiamo avuto appena il tempo di posare le valige, cambiarci al volo, mangiucchiare un panino (di corsa, perché è arrivato tardi anche lui) e risalire su un taxi. Destinazione: Tunisi, zona periferica, a circa 50 km dal nostro hotel (che si trova a Gammarth). Ci stiamo dirigendo verso la casa dello sposo, che per l’occasione ospiterà le donne della famiglia, la sposa e le sue ospiti italiane per la cerimonia della henna.
Sul taxi, mentre le mie amiche chiacchierano con l’autista (incuriosito di vedere tre straniere che si aggirano in zone poco note della città) io guardo dal finestrino cercando di ingannare il mal di testa…il panorama all’esterno non è molto confortante: i bordi delle strade sono pieni di immondizia, prevalentemente buste di plastica, cani randagi (non ne ho avevo mai visti così tanti, di tutte le taglie e incroci possibili) e case in costruzione. Caratteristica del posto, infatti, è che quando decidono di costruirsi una casa, gli abitanti gettano fondamenta e iniziano a mettere su quello che possono permettersi al momento, lasciando gli edifici incompleti fino a quando non trovano altri soldi o altre occasioni per continuare l’opera. Il risultato, che mi aveva già sbalordita nella zona di Djerba, sono case basse con ferri sporgenti in alto, edifici da intonacare con portoni perfettamente verniciati, o intonacati ma senza finestre, scheletri di lavori mai portati a termine, tutto senza soluzione di continuità. E in questo caos edilizio, uomini (e solo uomini) seduti ai bar per la strada, donne velate che camminano, spesso in coppia, verso mete sconosciute affondando i sandali nella polvere (non ho visto marciapiedi da nessuna parte)…poi, all’improvviso, in un panorama di miseria, ecco apparire una panetteria ipermoderna o un centro commerciale in mezzo al nulla.

Vedo anche diversi posti di blocco (anche se non ci fermano mai, non sono rassicuranti), motorini, spesso con 3 persone a bordo che ci superano da ogni lato, insomma…una situazione del tutto fuori dalla realtà a cui sono abituata e che però, devo ammetterlo, non mi piace un granché. Sapevo di trovare una vita più semplice, ma non pensavo di trovare degli aspetti di abbandono e trascuratezza che mi hanno rattristata un po’.
 
Il nostro “caldissimo” viaggio (il taxi non ha l’aria condizionata) è abbastanza lungo…al nostro arrivo l’autista ci lascia praticamente in mezzo alla strada: non conosce il quartiere, perché i turisti non arrivano mai in questa zona della città, non ne hanno motivo: non ci sono monumenti o cose da vedere, ma solo le case della gente comune. Io mi rallegro: non ci sarà nulla di artificiale o costruito ad hoc, sto per entrare nella vita di tutti i giorni di una famiglia tunisina. Camminiamo tra le bancarelle situate ai lati della strada. Si sente forte il profumo delle verdure (grossi mazzi di prezzemolo fanno bella mostra nel negozietto vicino a noi) e nel frattempo viene ad accoglierci uno dei fratelli dello sposo.
 
La famiglia di M. è molto simpatica e ha il calore dell’accoglienza mediterranea. Entrare a casa loro mi ha ricordato i resoconti di chi descrive l’ospitalità tipica delle regioni del Sud Italia. La casa affaccia su una stradina secondaria, dal piccolo cancello si accede ad un terrazzo-cortile rivestito di maioliche. Qui sediamo, raccolti attorno a un tavolo, dopo che diversi familiari hanno abbracciato e baciato ciascuno di noi. Il saluto tradizionale tra persone che si conoscono bene, prevede di scambiarsi ben quattro baci sulle guance invece dei due a cui siamo abituati noi. Il nostro ingresso è stato tutto un divertente abbraccio…la famiglia è numerosa e salutare tutti è stato lungo ma piacevole. Chi ci parla in francese, chi azzarda qualche parola in italiano, chi, come i più anziani, ci rivolgono sorrisi e parole affettuose…in arabo, che non riusciamo a capire, ma si interpretano facilmente: quando l’intenzione è positiva, ci si capisce subito in qualsiasi lingua del mondo.

Arriva subito a tavola una bottiglia d’acqua fresca e uno spuntino salato: verdure, insalata, olive, cosine da mangiucchiare per merenda. Non tante cose, perché stasera è prevista un’abbondante cena…Nel frattempo le donne si spostano all’interno della casa, nella sala destinata ad accogliere la sposa e la “hannena”, la signora esperta nel decorare il corpo con l’henné. La sala principale è stata decorata per l’occasione con una nuova tenda, sovrapposta a quelle bianche normalmente presenti. E’ di tessuto pesante marrone scuro, ricca di decorazioni. A terra un tappeto azzurro con disegni di fiori. Le donne di casa si tolgono le scarpe per salirci sopra e noi le imitiamo, per non rovinarlo. La sposa segue la suocera al piano di sopra: deve indossare qualcosa di speciale durante la tintura di mani e piedi, bisogna trovare un vestito adatto. Noi ci guardiamo attorno sorridendo, dimentichiamo per un paio d’ore i mariti fuori in terrazza, e chiacchieriamo con le sorelle e le cognate dello sposo in francese. Sono donne di tutte le età, tutte indossano abiti tradizionali, qualcuno più decorato, qualcuno meno. La maggior parte ha il capo coperto da un velo, fin sotto al mento. Un paio hanno la testa scoperta e non se ne fanno problema. Da quel che mi racconta la mia amica, la Tunisia è uno dei paesi arabi più liberali in materia di codice d’abbigliamento. Le donne che scelgono di coprirsi lo fanno per scelta personale o per rispetto delle tradizioni familiari, ma non sono obbligate per legge. Una delle cognate più giovani, ad esempio, una ragazza bellissima dal volto truccato alla perfezione, indossa un abito elegantissimo nero, con intarsi turchesi su corpo e maniche, e un velo in tinta che le incornicia il volto lasciando scoperto solo il mento e l’ovale del viso. Una sorella dello sposo, invece, porta un semplice caftano senza velo sulla testa e un’altra donna ancora, più giovane, ha i capelli schiariti dalle mèches e tirati indietro in una coda sulla testa, come qualsiasi occidentale della sua età. Il clima è allegro e vitale, una bimba delizia parenti e ospiti (donne, ovviamente) dispensando bacini a tutte, la sposa riscende con una bellissima tunica di raso verde chiaro, arricchita da vistosi ricami dorati. Tutto è pronto per cominciare: la hannena tira fuori la sua “scatolina magica” con la mistura di henna, e inizia a decorare i piedi della sposa. Prima dipinge le piante interamente di nero, tra un risolino e l’altro della mia amica che sobbalza per il solletico, poi inizia lentamente a decorare ogni dito, cominciando attorno alle unghie e poi sulle falangi, poi ancora i bordi, che colora con motivi di fiori intrecciati come in un ricamo, per risalire infine sul collo del piede e sulle caviglie. Successivamente, passa alle mani. Sotto la sedia, per evitare di rovinare il tappeto, sono stati sistemati dei teli di plastica.     
 


Il decoro ha inizio - photo by Roberto Perrone


La hannena al lavoro
 

Le mani della sposa - photo by Roberto Perrone
 
Nel frattempo, le altre donne nella stanza, danno inizio ai festeggiamenti: portano uno stereo, mettono un cd di musica tradizionale e iniziano le danze. Sono bellissime, ed è proprio questa la festa che volevo vedere, quella di cui sai solo per sentito dire e adesso è qui davanti a te e la stai vivendo assieme a loro! Che bella emozione! L’euforia è contagiosa, e ovviamente le nostre ospiti coinvolgono subito anche noi. I passi non li conosco, ma seguo i loro movimenti al ritmo della musica e in breve le vedo entusiaste e sorridenti. Qualcuna mi fa i complimenti, altre applaudono, un’altra alza il pollice in segno di approvazione. La mia amica sposa mi sorride, con i piedi dipinti sospesi ad asciugare su una sedia, e con un tono complice di chi mi capisce in pieno mi chiede “…ti diverti, eh???”. Sì, mi sto divertendo, ma più che altro mi sto godendo un momento speciale, perché per me la danza, la sua vera essenza, è proprio questa: gioia, condivisione, emozione, positività. E’ quello che cerco quando ballo, quello che cerco di restituire a chi mi guarda quando ho un pubblico davanti, senza pretese falsamente “artistiche”, emozionarmi, emozionare…cosa che nella vita di tutti i giorni avviene sempre meno, ma che è importante per sentirsi bene e per sentirsi, soprattutto, vivi.   

Nelle pause tra una danza e l’altra, la hannena continua il suo lavoro dipingendo mani e piedi delle altre donne. Tocca anche a noi. Io chiedo solo un piccolo disegno sulla caviglia…che in corso d’opera diventa un ricco ghirigoro tribale con fiori e puntini. Per le mani (e meno, male, come scoprirò qualche giorno più tardi) invece declino l’invito ringraziando…ho pensato a quello che succederebbe presentandomi al lavoro tutta dipinta, a maggior ragione nel nuovo ufficio, con quel capo che ancora non mi conosce bene e che, come tutti gli estranei, potrebbe metterci un attimo a farsi strane idee o a disapprovare brontolando la mia tenuta poco adatta all’ambiente. Meglio rinunciare ai ghirigori troppo evidenti, quello sul piede si può nascondere con facilità sotto la scrivania e sono sicura che non darà fastidio a nessuno. Così dopo la decorazione mi siedo accanto alla sposa vicino a un ventilatore, per far asciugare prima la mistura nera che ricopre la pelle. Un particolare importante: esistono vari tipi di decorazione con l’henné. Quella effettuata con henné puro, è di colore arancio-marrone, dura pochi giorni ma è assolutamente naturale, non tossica e soprattutto in rarissimi casi provoca allergie. Quella nera utilizzata questa volta, però, è differente: spicca di più il disegno, che è più simile ad un tatuaggio vero, e in teoria dovrebbe durare fino a due settimane. Dei suoi effetti “postumi” parleremo più in là…adesso torniamo alla festa.
 
Mani e piedi della sposa - il decoro finale
 
Dopo un’ora di attesa l’henné è pronto per essere sciacquato via. Ci portano una saponetta speciale di colore verde, la suocera lava i piedi della nuora immergendoli in una tinozza, io vado a sciacquare la mia decorazione ad una fontanella del cortiletto, dove trovo gli uomini (almeno quelli italiani) che mi guardano incuriositi “ma come, sei stata tanto tempo lì ferma e ora lo lavi via?”…in realtà si lava via solo l’eccesso, il disegno resta vivo e brillante sul mio piede, i contorni si fanno più netti e definiti, un piccolo capolavoro di artigianato che valeva l’attesa. 
 
 
Il mio tatuaggio
 
 
Mentre il sole tramonta, le donne di casa hanno terminato le loro decorazioni e si comincia ad apparecchiare per la cena. A tavola troviamo tante cose buone, tra cui il brick, un sfoglia di pasta ripiena di tonno, uova e formaggio (che avevo già assaggiato anche altrove) e la scoperta del viaggio, la mechouia, un’insalata composta da una crema a base di peperoni verdi piccanti, pomodori e cipolla arrostiti, condita con olio d’oliva e accompagnata da uova sode a spicchi e, in alcune occasioni, da pezzi di tonno. Buonissima. Ho deciso che proverò a rifarla anche a casa, ma proverò a sostituire i peperoni piccanti con quelli normali, perché non amo i piatti troppo “hot”. Ci sono anche carne, altra insalata, pane tipo baguette, insomma, una cena in famiglia con persone sconosciute che diventano, però, quasi parenti anche nostri, tanto l’atmosfera è rilassata e festosa.
 
La cena si protrae fino a tardi…difficile trovare un taxi nel cuore della notte nel quartiere, così i nostri amici si organizzano e con due macchine ci riportano in hotel, stanchi ma contenti…e curiosi di quello che ci aspetterà la giornata seguente.  

giovedì 21 agosto 2014

Avventure d'agosto - Matrimonio in Tunisia

Questo non è solo il racconto di un semplice viaggio, ma di un’esperienza che non capita tutti i giorni. In qualsiasi momento posso prendere il pc e prenotare un biglietto aereo per qualunque destinazione del mondo (soldi permettendo, ovviamente, e quelli non sempre sono disponibili), ma ci sono occasioni che arrivano inaspettate e ti consentono di vivere per qualche tempo fuori dalla tua “dimensione” abituale, elementi che rendono un viaggio davvero più ricco e speciale.

Oggi inizierò a raccontarvi della mia avventura tunisina, non da semplice turista in vacanza, ma come invitata ufficiale a un matrimonio locale.

La vicenda ha inizio dall’annuncio di una mia amica e del suo simpatico fidanzato: metti una sera a cena fuori in bisteccheria, tavolo da 6, davanti a un filetto al sangue e un bicchiere di vino rosso, tra una chiacchiera e l’altra arriva la notizia: “Ragazzi, io e M. ci sposiamo, e vorremmo invitarvi al nostro matrimonio in Tunisia!”

Noi donne del gruppo, che ci conosciamo proprio frequentando assieme un corso di danza orientale, attratte da sempre dal fascino e dai segreti del mondo arabo, non ci facciamo ripetere l’invito due volte: primo, perché saremo felici di festeggiare assieme le nozze di C., secondo perché potremo assistere per la prima volta dal vivo a quel momento di celebrazione particolare di cui abbiamo tanto sentito parlare in questi anni.

Il matrimonio arabo, infatti, prevede una lunga serie di festeggiamenti e rituali, che in genere durano per una settimana intera. Nel nostro caso, invece, i giorni di festa effettivi saranno ridotti a tre, perché le nozze ufficiali si svolgeranno in Italia, ma ci sarà offerta comunque l’occasione di vivere di persona una tradizione del tutto differente dalla nostra.

Prenoto un pacchetto volo + hotel per Tunisi a maggio per agosto…Decido di prendere una stanza nello stesso hotel che la sposa ha scelto per ospitare sua madre, in modo che gli spostamenti di gruppo siano più facili per tutti. Inoltre, dalla presentazione del sito internet sembra proprio un bel posto. Il costo per il viaggio più 3 notti di soggiorno in un apparentemente lussuoso 5 stelle viene 426 euro a persona (nel caso foste interessati a trascorrere un weekend lungo nello stesso posto, sapete cosa aspettarvi).

Nel periodo tra la prenotazione e la partenza…ci siamo preparate ad acquistare abiti eleganti (che ci serviranno il terzo giorno di festa) abbiamo festeggiato e ballato con gli sposi il loro matrimonio italiano (le nozze sono state celebrate con rito civile in Italia, quindi doppio festeggiamento, locale ed estero), abbiamo atteso con curiosità e impazienza i giorni prima della partenza.

Quando viaggio, di solito scelgo sempre il primo volo del mattino perché, dato che in genere il tempo a disposizione è limitato, mi piace sfruttarlo al massimo. In questo caso, purtroppo, la mia non è stata una scelta felice. Il nostro aereo è atterrato puntuale, ma c’erano amici da aspettare che arrivavano con altri voli…così invece di salire sul primo taxi per l’hotel abbiamo concordato di restare ad aspettarli in aeroporto per andare in hotel tutti assieme. Abituati al caos della mia città, non pensavo di trovare un posto più affollato…e invece sì: l’aeroporto di Tunisi non è grande, ma brulica di vita…Ai tavoli del bar centrale si fatica a trovare un posto libero, le sedie si raccattano dai clienti vicini che non le utilizzano. C’è molto rumore. Troppo. E poi si fuma. Troppo. Nonostante i divieti esposti su tutte le colonne, vige un po’ di anarchia, e le sigarette vengono ostentate senza problemi e senza pericolo di essere puniti con una multa. E’ una sorta di strana tolleranza, ma io non sono più abituata ai locali fumosi…ricordo quando a vent’anni tornavo dalla discoteca puzzolente come una ciminiera spenta…dovevo mettere il cappotto appeso fuori dalla stanza per non asfissiare di puzza durante il resto della notte…ecco, vent’anni dopo la stessa sensazione, ma con un effetto diverso, un brutto mal di testa che mi accompagna per gran parte del soggiorno e che mi rovina buona parte della vacanza. Tenetelo a mente se siete allergici, asmatici, ecc…Scappate dall’aeroporto il più presto possibile se non volete sentirvi male. Altra piccola disavventura è stata la fila per il cambio, lunghissima, lentissima. 10.000 dinari tunisini valgono circa 5 euro. Cambiateli all’arrivo ma ricordate di spenderli tutti prima di andare via: nel duty free dell’aeroporto accettano solo pagamenti in Euro, e quei pochi spicci che avevamo conservato per qualche acquisto prima di partire ci son rimasti sul groppone nel viaggio di ritorno. Elemento particolare dell’aeroporto: il soffitto decorato in stile arabo, bello e colorato, una specie di “tetto” di mattonelle colorate che da’ un tocco originale ad un luogo altrimenti abbastanza anonimo.

All’uscita dell’aeroporto il caldo è davvero parecchio il programma meteo del mio smartphone già da Roma mi aveva preannunciato valori massimi di 39 gradi…e guai a pensare che sia caldo secco, è una leggenda metropolitana. Con i taxi si deve barattare sul prezzo della corsa, il costo non è comunque alto, quindi se non siete del posto e non siete informati sulle tariffe effettive hotel-aeroporto il tassista vi “fregherà” comunque: a voi sembrerà di aver speso poco, lui avrà spennato il suo pollo…tutti e due resterete soddisfatti della transazione.

Qualche anno fa, proprio in occasione di un breve viaggio in Tunisia, chiesi alla poco simpatica guida del nostro mini tour un consiglio su come e “quanto” contrattare con un negoziante in queste occasioni. Lui mi ha risposto (criptico, come tutti i tunisini a cui ho tentato di rivolgere la stessa domanda) che si deve pagare per una merce ciò che noi riteniamo “giusto”…una bella filosofia, specialmente considerando che il costo della vita nei due paesi è molto differente. Ma da un altro punto di vista, in effetti, alcune cose per noi costano effettivamente poco e più di una volta mi è capitato di acquistare qualcosa pensando con soddisfazione di aver fatto un buon affare. C’è da aggiungere che io sono negata per le contrattazioni…e da un lato faccio male, ho imparato, da chi sta spesso accanto a me, che chiedere uno sconto non è poi così sbagliato, visto che anche nel nostro paese protetto da leggi a tutela del consumatore (mah) su alcuni beni i negozianti hanno margini di guadagno piuttosto alti.

Una volta accordata la cifra per il tragitto, saliamo sul taxi. Qui le macchine sono quasi tutte molto vecchie, modelli che circolavano in Italia una quindicina d’anni fa, e soprattutto non esiste nessun tipo di controllo per tutto ciò che riguarda fumi di scarico, manutenzione, bollino blu. Il risultato è salire a bordo di vetture in cui non si tira giù il finestrino perché la maniglia è rotta, i poggiatesta sono presenti solo da un lato, l’aria condizionata è morta ormai da anni, il parasole è fatto con un pezzo di cartone raccattato per strada. E gli scappamenti emettono una miscela di gas abbastanza fetente. Il parchimetro difficilmente viene messo in funzione, mai per tutta la durata del nostro soggiorno. Alcuni autisti sono più socievoli di altri e chiacchierano durante il percorso. Qualcuno parla italiano, con altri si conversa in francese. Quando si trova la persona giusta, si raccolgono un sacco di informazioni e di notizie sul luogo. Altri si divertono a fare domande sui motivi del nostro viaggio. A parte un paio di personaggi un po’ musoni, devo dire di aver sempre trovato persone gentili alla guida.

L’hotel dista circa una mezz’ora di viaggio, che trascorriamo, pimpantissime, a chiacchierare tra noi. All’aeroporto ci siamo divise: donne (sposa compresa) in un’auto, mariti in un’altra. Tra l’altro, per una strana regola locale, in taxi possono salire massimo tre passeggeri. E’ una regola un po’ sui generis che sarà infranta in diverse occasioni, per motivi di praticità.

Dell’aeroporto non ho foto, né del percorso attraversato per arrivare da lì in hotel, ma non si perde molto: strade asfaltate e “nulla” sui lati…qualche centro commerciale (che non riuscirò a visitare durante questa sosta così fugace) qualche grosso complesso residenziale e basta, fino al nostro arrivo. Dell’hotel, delle mie disavventure e dei tre giorni di festa, vi racconto nel prossimo post.
   



sabato 9 agosto 2014

Torino - ultimo giorno - mercato e Palazzo Reale

Nonostante le pessime previsioni, anche il giorno seguente, almeno per metà giornata, il tempo resta dalla nostra parte e ci consente di girare per la città senza aprire l’ombrello.
 
Dopo una buona colazione al bar (ormai abbiamo rinunciato volentieri a quella dell’hotel) ci avviamo verso la zona di porta Palazzo. La mattina sarà dedicata alla visita dei mercati, sia quello fisso, sia quello settimanale del Balon.

Il mercato di Porta Palazzo è aperto tutti i giorni, ed è diviso per categorie merceologiche. Sulla sinistra si trovano i banchi dedicati al vestiario. Sono parecchi, ma l’assortimento è piuttosto scarso: si tratta quasi esclusivamente di capi d’abbigliamento e scarpe prodotti in Cina. I prezzi non sono esposti ma credo che non differiscono da quelli delle bancarelle disseminate anche nella mia città. L’altro lato della piazza è dedicato a casalinghi e accessori per la casa: tappetini, lenzuola, asciugamani.   

La parte coperta ospita il mercato alimentare…sicuramente interessante da visitare per la vastissima offerta di cibi provenienti da tutto il mondo. Per noi che veniamo da Roma, un mercato equivalente, in piccolo, può essere quello una volta ospitato in Piazza Vittorio e oggi trasferito in una struttura più moderna poco lontano. La nostra visita è interessante (e golosa), ma c’è troppa gente e poco spazio per muoversi, così decidiamo di spostarci all’esterno e visitare un edificio più moderno situato alle spalle del mercato, il Centro Palatino.

Progettato dal famoso  e ormai gettonatissimo architetto Fuksas al posto del vecchio mercato dell’abbigliamento, esteticamente questo palazzone di metallo e vetro non ci convince per niente. Anzi, la sua mole imponente e la sua modernità eccessiva stonano decisamente con il resto della piazza. Un classico effetto “pugno nell’occhio”. Difficilmente mi capita di apprezzare edifici moderni inseriti in contesti architettonici antichi, ma in questo caso, al di là dell’evidente dissonanza tra stili, dobbiamo ammettere che questo pseudo-centro commerciale (semi abbandonato all’interno) è proprio brutto senza attenuanti che possano giustificarne l’esistenza.  All’interno è semiabbandonato, la maggior parte dei negozi sono chiusi, gli altri sono sull’orlo del fallimento e hanno le vetrine mezze vuote. Sembra prosperare solo un negozio di abiti da cerimonia, tutto il resto appare trascurato e sembra che stia per chiudere i battenti.

Al centro dello spazio commerciale, uno scavo che mostra i resti di…che cosa non si sa, perché non è indicato da nessuna parte. Scoprirò solo più tardi che si tratta delle ghiacciaie che nell’Ottocento venivano utilizzate per la conservazione dei cibi.
 
Camminiamo ancora per spostarci nella zona del “Balon”, mercato delle pulci che si articola per alcune caratteristiche viuzze nei dintorni di Porta Palazzo. Personalmente non amo molto questo tipo di mercati…non apprezzo l’antiquariato, il vintage, né tantomeno la semplice “roba vecchia”, e di quest’ultima al Balon se ne trova a volontà e per tutti i gusti. Esposizioni simili di merce improbabile le ho viste solo nelle vie limitrofe del mercato di Porta Portese a Roma. Ogni volta mi chiedo se quell’accumulo di cose da buttare troverà un acquirente che le sappia apprezzare e sia disposto a spendere (invece che essere pagato) per portarle a casa. Ma è questione di gusti: ho amici e parenti che hanno un fiuto speciale per trovare oggetti interessanti anche in mezzo al ciarpame. E riescono a fare affari, o arredare la loro casa ripescando oggetti e suppellettili di una volta e integrandoli in modo armonioso all’arredamento di casa propria. Ma guardandomi attorno non vedo proprio nulla che mi piaccia…se non le palazzine della zona, semplici e a due piani, sembra di camminare in un paesino all’interno della città.

Continuiamo la passeggiata tornando verso il centro. Attraversiamo la zona pedonale di Via Garibaldi, mentre il caldo comincia a farsi sempre più intenso. Approfittiamo di un passaggio refrigerato in libreria (dove trattengo a stento la mia pulsione all’acquisto compulsivo di favolosi volumi in offerta con il 50% di sconto)  e ci dirigiamo verso Piazza Castello. Attraversiamo la grande piazza antistante il Palazzo Reale e approfittiamo della visita per sfuggire alla canicola di mezzogiorno. Il biglietto ha prezzi differenziati, secondo gli ambienti e le esposizioni che si desiderano visitare. Una parte del palazzo è in restauro, ma gran parte delle sale sono aperte al pubblico. Scegliamo l’opzione che comprende parte del primo piano, l’armeria reale e il Museo Archeologico
Le sale di Rappresentanza, come in ogni buon palazzo reale che si rispetti, sono decoratissime, ricchissime, e denotano ostentazione fin nell’angolo più inaccessibile. Ma è normale. Negli ultimi anni ho visitato tanti castelli in giro per l’Europa, e devo ammettere che dopo lo stupore iniziale, dopo aver notato la differenza tra uno stile e l’altro, una sala “da ricchi” deve essere davvero molto particolare per attrarre a lungo la mia attenzione. Perché nei palazzi dell’epoca trovi spesso, da routine, gli stessi particolari un po’ stucchevoli: vasi cinesi dal valore inestimabile, lampadari che ti ricordano all’istante quanto dev’essere faticoso spolverarli, pavimenti schricchiolanti e tirati a lucido spesso ricoperti da passatoie per impedirne il logoramento, sedili improbabili in tessuti pregiati, ritratti di nobili in parrucca che nessuno ormai si ferma ad osservare (perché in fondo sono belli e fatti bene, ma un po’ tutti uguali), soffitti decoratissimi con allegorie che nessun visitatore medio è in grado di comprendere senza una buona e volenterosa guida che gli ricordi i miti del passato.

La sala da ballo del Palazzo Reale

Decorazione sui muri della sala da ballo
 
Il palazzo è decisamente bello e “come da copione”. Mi è rimasta particolarmente impressa la Sala da Ballo, con le decorazioni che ho tentato di fotografare senza flash (e che vedete in foto un po’ sfocate), per qualche istante mi sono soffermata a immaginare una serata di gala, le luci, gli abiti, la musica…è sicuramente un ambiente un po’ magico che è riuscito a catturarmi per un po’.

Altro ambiente da non perdere, anche se per me un po’ inquietante, l’Armeria Reale. Per me che detesto gli animali imbalsamati, trovarmi davanti tutti quei cavalli in perfetta tenuta da combattimento mi ha lasciata un po’ spiazzata. Ma sicuramente la sala è d’effetto. Uno degli scenari più interessanti del palazzo.
 
L'armeria reale
Anche la raccolta di armi è stata notevole persino per me, che detesto la guerra. Alcuni di questi terribili strumenti di morte sono vere e proprie opere d’arte, con intarsi, decori, pietre preziose, manici dai materiali più improbabili (una katana giapponese con fodero in pelle di razza)…mi stupisco sempre di più del modo in cui in ogni epoca siano stati spesi tanti soldi e tanta abilità per produrre oggetti destinati, sia pure per difesa, a uccidere qualcuno.

I giardini del Palazzo sono in restauro. Da mesi? No, da anni, e da quanto si riesce a vedere dai finestroni che si affacciano sul parco, i lavori non hanno nessuna intenzione di terminare a breve. L’aspetto è decisamente incolto e poco invitante. Peccato.

Usciti dal palazzo decidiamo di conservare i nostri biglietti e di continuare la visita dopo la pausa pranzo, che trascorriamo in una piazzetta dei dintorni. Scegliamo un locale con tavoli fuori, abbastanza affollato. Ci convince il fatto cha le persone sedute gomito a gomito sulle sedie in legno siano in prevalenza “locali”, e tutti mangino di gusto. Assaggiamo le alici in saor, una terrina di melanzane e della pasta al pesto e ricotta molto delicata e gustosa, innaffiando il tutto con un bicchiere di vino bianco Arneis. La sosta è gradevole, il cibo buono, l’unico neo è il trombettista itinerante che dovrebbe allietare i presenti con le sue prodezze musicali e invece si rivela più molesto e rumoroso del previsto.

Resisto al gelato (che mi chiama dalla vetrina di un negozietto dall’altro lato della piazza) e decidiamo di continuare la visita con la parte archeologica del museo. Una parte delle esposizioni è chiusa, ma noi possiamo accedere alla zona dove sono conservati i reperti più antichi. Il vantaggio principale di questa visita è la possibilità di fuggire nuovamente dal caldo afoso del dopopranzo. Di interessante, però, non c’è molto, perché come nella maggior parte delle esposizioni di oggetti antichi ci sono soprattutto quelli che io chiamo “i cocci”. Vetrine e vetrine di resti di antichi manufatti…per carità, preziosi e interessanti, ma quando si vive in una città dove questi oggetti abbondano in ogni angolo e i musei sono pieni di pezzetti di vasi, bottigliette, vetri lavorati, anfore, pettini, specchi ossidati e chi più ne ha più ne metta, dopo un po’ certe suppellettili, per quanto importanti, non fanno più effetto, anzi diventano semplici “cocci” e mi annoiano.
 
Tra l’altro una parte dell’esposizione è ospitata in una vecchia serra, un luogo sicuramente suggestivo e ottimo per la luce, ma senza aria condizionata di nessun tipo…una tortura quando la temperatura esterna supera i valori tollerabili. Così ai due impiegati gentilissimi che scherzano sulla nostra “visita-lampo”, spiego con un bel sorriso la situazione (sui cocci) e ce ne andiamo dopo pochi minuti gettando solo qualche rapida occhiata qua e là.

Il pomeriggio lo dedichiamo al relax…e la sera piove. Approfittiamo dei portici per un giretto, prendiamo un improbabile aperitivo (con tartine non richieste ripiene di maionese – e solo maionese) e poi andiamo a cena nel più che tipico ristorante “Porto di Savona”.  Il posto ha compiuto da poco 150 anni di attività, ed è allestito come una tipica trattoria (ho saputo solo oggi, in realtà, che fa parte di una serie di ristoranti appartenenti a Piero Chiambretti…complimenti, ma il sito internet è fatto davvero male). Il personale è gentile ma un po’ brusco, soprattutto la cameriera più anziana. Nonostante avessimo prenotato, ci ha riservato un tavolo in mezzo alla piccola sala incastrato assieme ad altri due, in pratica ci sembra di cenare assieme ai nostri vicini…l’unica alternativa è un tavolo ancora più sfortunato, posto proprio sotto il getto dell’aria condizionata, tenuta a temperatura polare. “Non vorrà mica che la spegniamo!” ci intima brontolando la cameriera “ma per carità!”, rispondiamo noi, e ci rispostiamo incastrati tra gli altri commensali.
 
M. prende un antipasto misto in carpione che già di per sé è un piatto unico. Peccato non mi piaccia l’aceto, perché le pietanze hanno un aspetto gustoso: uova, zucchine, carne panata…praticamente una cena completa.  Io opto per un piatto meno tradizionale ma più fresco, l’orzo con pesto di..boh, non ricordo…zucchine??? Il fatto che io non ricordi l’ingrediente principale del piatto la dice lunga: in effetti era piuttosto insipido, non cattivo, ma nemmeno da ricordare. M. è temerario e prende anche un primo piatto. Io passo al dessert e assaggio il Bonnet, dolce tipico locale, un budino di nocciole e cioccolata, buono, fin troppo abbondante. Sbirciando sui tavoli accanto al nostro ho particolarmente apprezzato la vista dei piatti di brasato con puré di patate, che sembrava tanto appetitoso quanto terribilmente invernale, quindi, nonostante l’aria condizionata che rendeva sopportabile il piccolo ambiente, non ho osato chiederne un assaggio.

La cena nel complesso non è stata male, ma il tipo di locale, con il suo aspetto volutamente “vecchio” ma non troppo accogliente, le pareti marroncine, i tavolini attaccati tanto da partecipare involontariamente a tutte le conversazioni dei vicini, non è nelle mie corde. Tra l’altro, se l’aspetto richiama in tutto e per tutto quello di un’osteria di altri tempi, il conto è quello di un normale ristorante, perciò il lato “spartano” si limita all’aspetto esteriore e non a quello economico.
La pioggia, annunciata da tempo, ha continuato a cadere per tutta la sera e anche il giorno seguente, in cui abbiamo fatto un ultimo giro del centro tra portici e ombrelli aperti. Dall’hotel siamo arrivati in stazione verso l’ora di pranzo, preso un paio di panini in uno dei due bar aperti (la stazione di Porta Susa è poco accogliente, se potete vi conviene arrivare non troppo in anticipo perché potreste morire di noia).

Il nostro treno parte sotto il diluvio. E prosegue con rovesci a catinelle per tutto il percorso, tanto da rallentare il viaggio di almeno un’ora. Arriviamo a Roma un po’ frastornati, e piove ancora. Una situazione meteo un po’ folle, che prosegue per tutta questa estate imprevedibile e bizzarra.
 
Dopo questa esperienza a Torino resto con tanti ricordi nel cuore. Gli scoiattoli, la mia amica lontana (ma allo stesso tempo più “vicina” di tante persone che conosco nella mia città), le piazze, i portici. Felice di aver fatto questo viaggio, arricchita di novità, pronta a riempire di parole e foto i miei post. Non so se tornerò presto a visitare Torino ma sono felice di aver organizzato questa piccola “fuga”. Un viaggio, grande o piccolo che sia, è sempre un ottimo modo di festeggiare un evento speciale…e di eventi davvero speciali vi racconterò a breve nei prossimi post.