mercoledì 25 giugno 2014

Praga, ultimo giorno

(data originale post: 05/07/2011)

Anche l’ultimo giorno a Praga inizia con la solita salita in direzione castello, o meglio verso il quartiere di Hradcany. Camminando sotto una pioggerella sottile, questa volta la meta è il monastero di Strahov, già preso d’assalto da un paio di consistenti comitive di turisti. Rinunciamo alla visita, ammirando l’edificio dall’esterno e un po’ dell’immancabile panorama della città, poi facciamo tappa al Santuario di Loreto, e qui paghiamo il biglietto d’ingresso approfittando di un po’ di tranquillità, dato che questa volta il gruppo di visitatori italiani è scoraggiato dal fatto di dover pagare per visitare la chiesa. Effettivamente l’abbiamo notato anche noi, qui si paga un po’ per tutto, non solo per le visite in molte chiese, ma anche – extra – per poter fare foto rigorosamente senza flash. Allora entriamo, ma senza foto, tanto che in questo viaggio la mia piccola macchina digitale è stata quasi sempre riposta nella borsa: ho preferito godermi l’esperienza multisensoriale senza distrarmi troppo dietro all’obiettivo. Forse ero più stanca del solito, ma avevo davvero bisogno di una vacanza da tutto ciò che è tecnologico e prevede di premere pulsanti. Così non ci sono documentazioni iconografiche del santuario, peccato, da un certo punto di vista, perché non mi era mai capitato di vedere un chiostro con le cappelle che si affacciano direttamente all’interno, e perché la “casa della Vergine” posta nel centro dello spiazzo aperto assomiglia incredibilmente al piccolo tempio custodito all’interno della “nostra” chiesa di Loreto nelle Marche.  Interessante anche il Tesoro, ma vi dirò, a me più che interessare tutti quei calici d’oro e diamanti fanno venire il nervoso, stridenti come sono con l’idea di una chiesa umile, povera e dedita al bene nei confronti del prossimo.  “Che zozzeria!” mi sussurra M. all’orecchio di fronte a un ostensorio tempestato di rubini e ametiste e non posso che concordare, perciò lascio con piacere quella sala asettica dai vetri blindati per tornare nel chiostro a guardare la pioggia che cade.

Abbiamo ancora un po’ di tempo, in hotel sono stati  - finalmente – gentilissimi e ci hanno concesso di lasciare i bagagli in uno stanzino-deposito chiuso a chiave. Così, visto che le nuvole per ora non hanno voglia di andar via, riprendiamo la metro e andiamo a visitare il Museo di Arti Decorative nei pressi del quartiere ebraico.  Abbiamo scelto questo museo in particolare perché non avevamo voglia di vedere cocci di ciotole primitive, quadri o rappresentazioni storiche della città, e non siamo stati delusi: cominciando da un’esposizione di abiti da sera, per passare a porcellane e stoviglie, orologi d’epoca, arazzi, abiti da sposa. Uno strano miscuglio di oggetti disposti con ordine e coerenza nelle diverse sale, passiamo un altro po’ di tempo curiosando tra una vetrinetta e l’altra fino ad ora di pranzo…Basta gnocchi di pane, però! Siamo d’accordo su questo punto, e ancor di più quando vestiamo i panni dei “turisti di massa DOC” e raggiungiamo la Piazza Vecchia per pranzare sotto il vicino Hotel Rott, dove ci aspetta rumoroso eppure accogliente l’immancabile Hard Rock Café.

Lo so, forse mangiare in un ristorante internazionale, o meglio, americanissimo, non era il modo migliore per concludere l’esperienza praghese, ma ogni tanto uno strappo alla regola ci può stare, l’edificio è storico e affrescato all’esterno, la musica rock ben assortita nella sua alternanza tra vecchie e nuove glorie del palcoscenico, e la birra fresca e rigenerante. Simpatico persino il cameriere, che sembra scoordinato col resto del mondo, ma quando ce ne andiamo ci lascia una faccetta sorridente sullo scontrino farfugliando “That’s me!”…

Ancora l’ultima passeggiata per le viuzze affollate, è domenica ma qui in centro sembra sempre lo stesso giorno della settimana, i negozi sono tutti aperti, la gente in strada esulta per la vittoria della squadra di hockey nazionale, le comitive aspettano speranzose gli ennesimi rintocchi dell’orologio municipale.
E di nuovo il ponte, che mi mancherà sicuramente, il ricordo più bello di questa città, a ogni ora un aspetto diverso, con le sue statue nere di fuliggine che chissà quando torneranno al loro vecchio splendore.

Valige alla mano, percorso all’inverso: tram, metro, autobus, aeroporto. Facile, pratico ed economico mille volte più di un taxi. Alle 20.30 il nostro aereo decolla, la città non si vede, nascosta da una coltre di nubi grigiastre. Si torna a casa, contenti, per il nostro viaggio senza stonature, senza mal di testa, senza troppe foto, ma pieni delle mille sensazioni raccolte in giro in questi 4 giorni. Dietro di noi, all’aeroporto un gruppo di coppie cinquantenni pianificava la prossima destinazione di viaggio, come se si fossero già buttati alle spalle le esperienze di Praga e fossero già pronti per la prossima vacanza “mordi e fuggi”.

Io invece per un po’ voglio assaporarmi questo viaggio e tutto quello che mi ha dato, forse per questo sono qui che scrivo queste righe, per non perderlo, per conservare qualche dettaglio come in un album speciale.
Poche foto, ma molti bei ricordi. Spero di avervi trasmesso almeno un po’ di quello che ho fatto e visto, di quello che c’è ancora da fare e da vedere, ma soprattutto di avervi contagiato con la voglia di andare a vedere questa o un’altra città del mondo.

Per me è stato un regalo davvero bello e speciale, spero che in futuro lo sarà anche per voi. I soldi per un viaggio sono sempre ben spesi. A presto.

Praga - terzo giorno



(data originale post: 30/06/2011)

La mattina seguente risaliamo verso il castello per terminare la nostra visita. Purtroppo la “Via dell’Oro”, che ci aspettavamo come una delle tappe più interessanti, era in restauro, così per compensare il prezzo del biglietto la direzione aveva aggiunto un ulteriore edificio visitabile sul nostro percorso. Le sedi di oggi sono la pinacoteca, la torre delle polveri in cui è allestita una mostra militare, e un altro palazzo storico. Interessanti, ma sicuramente la parte migliore l’abbiamo visitata il giorno prima. Tralasciamo la passeggiata ai giardini reali, per riscendere dalla strada che conduce dritti alla metropolitana. Da lì, riscendiamo in centro città e camminiamo fino a raggiungere “l’altra” Torre delle Polveri e la Casa Municipale. Sulla stessa Piazza della Repubblica, c’è un grande edificio che ospita un modernissimo centro commerciale attrezzato di tutto. Ne approfittiamo per una sosta, e all’ultimo piano mi fermo, una via di mezzo tra incantata e stordita, a guardare la varietà dei ristoranti che, uno di fianco all’altro, propongono le loro specialità a turisti e cittadini affamati. C’è un ristorante egiziano con tanto di statue in oro, uno indiano con cameriere sorridenti che indossano coloratissimi sari, un messicano, un thailandese, un giapponese con cucina a vista in cui il cuoco prepara su una piastra rovente i vari piatti ordinati dagli avventori del locale. Una grande babele gastronomica, ma esposta in modo davvero attraente, nulla a che vedere con gli pseudo-autogrill-pizzerie di casa nostra.

La Torre delle Polveri
Tempo di un caffè e di riposare un po’ i piedi, ci accorgiamo che si è fatta quasi ora di pranzo, ma decidiamo di abbandonare il centro un po’ artificiale e di prendere qualcosa di tipico. La nostra guida suggerisce un pub in zona e noi seguiamo il consiglio. Si mangia bene, sempre in modo abbondante, sempre a prezzi contenuti e sempre con gli immancabili gnocchi….che adesso ci cominciano a stufare, ma siamo sicuri che dopo qualche tempo li ricorderemo con un misto di voglia e nostalgia…(sono sicura fin d’ora che presa da un raptus qualche mese dopo cercherò la ricetta su un sito internet sperando di replicare, sia pure solo sul piano gastronomico, l’atmosfera della vacanza.

Nel pomeriggio, dato che il tempo è rimasto dalla nostra parte, ci dirigiamo verso la funicolare che porta alla collina di Petrin. C’è una bella fila, ma piuttosto rapida, in più il nostro biglietto giornaliero ci evita ulteriori pagamenti, prendiamo posto sul nostro insolito mezzo di trasporto e ci godiamo un bel panorama durante il percorso. Il parco che ci aspetta è…appunto, un parco, nulla di eclatante, solo molta tranquillità, giochi per bambini, persone sedute sull’erba a prendere il sole. Una Torre Eiffel in miniatura (oggi antenna televisiva) su cui è possibile salire per vedere il panorama (che mi risparmio, per problemi al ginocchio) e un labirinto di specchi piuttosto deludente, a meno che non siate bambini di 10 anni vi sconsiglio di spendere soldi inutilmente: una decina di specchi deformanti, con una fila piuttosto lunga per guardarsi e comitive schiamazzanti che occupano tutto lo spazio angusto a disposizione, un labirinto da cui si esce in un battibaleno, senza un minimo di esitazione…no, dopo la Via dell’Oro chiusa per lavori è la seconda piccola delusione della giornata, ma non ci toglie il buonumore: è primavera, c’è un bel sole, c’è un prato su cui sdraiarsi, passiamo la fine della nostra gita a Petrin in pieno relax.

Vista del Castello dalla funicolare per la collina di Petrin
Per la cena decidiamo di tornare vicino all’hotel dove abbiamo mangiato la sera del nostro arrivo, c’erano ancora parecchie cose interessanti da assaggiare…e anche in questo caso il locale si conferma un ottimo posto…Mentre chiacchieriamo a lume di candela, al tavolo accanto a noi ritroviamo due visi conosciuti: è la coppia  “impeccabile” della sera sul battello, gli italiani iper-precisi, che stavolta  - spero – finalmente hanno trovato un posto per passare in pace la loro serata romantica. Li lasciamo a gustare la loro cena dopo i saluti di rito, domani si torna a casa, ma ho prenotato uno strategico volo serale, che ci permetterà di vedere ancora qualcosa di interessante.

Praga, secondo giorno

(data originale post: 07/06/2011)

La colazione dell’hotel è un po’ deludente e molto “confezionata”. Ci sono anche un po’ troppi ospiti, per i miei gusti, o forse non sono troppi, sono solo un po’ indisciplinati, come tutti i turisti di massa che si rispettino, e dato che anche le bevande sono self service, un’allegra combriccola di vecchietti inglesi crea un po’ di intoppo attorno alla macchinetta del caffè.
Ma in vacanza si prende tutto con più leggerezza. Si aggirano abilmente i vecchietti, ci si rifocilla in un tavolo appartato, e si esce in una mattinata dal cielo azzurro arrampicandoci sulla salita per il castello.
Per la strada ci sono tante piccole cose da guardare: la botteguccia con i pupazzi curiosi, i ristoranti sotto i portici con i cartelli acchiappaturisti, i colori dei palazzi che non sono mai uguali tra loro, le insegne degli hotel, piccoli spiazzi con alberi dai fiori profumati. Così la salita sembra più leggera e si arriva in breve tempo alla nostra meta.
Parlare di Castello è riduttivo. Perché si penserebbe al classico edificio circondato da torri e mura, ma non sarebbe sufficiente in questo caso. Le mura ci sono, ma oltre al palazzo reale vero e proprio, al suo interno si trovano la bellissima cattedrale gotica, un convento, una basilica, e diverse gallerie d’arte.
Ci si passa un bel po’ di tempo, tanto che acquistando un biglietto per la “visita lunga”, c’è la possibilità di tornare il giorno seguente per continuare il giro dei vari edifici con calma.

La cattedrale di San Vito

Trascorriamo qualche ora a visitare la chiesa, le sale del palazzo e una galleria di dipinti davvero notevole.
Poi decidiamo di conservare una parte delle attrazioni per il giorno seguente, scendiamo lungo una collina coltivata a vite fino alla metropolitana, e da lì con un paio di fermate siamo di nuovo vicino al quartiere ebraico. Da lì si scende sul lungofiume, agli attracchi dei traghetti che partono per le minicrociere sulla Moldava. Prenotiamo una cena sul battello con musica jazz per la sera, di cui vi racconterò più in là, e poi ce ne andiamo a pranzo presso un locale storico, segnalato dalle guide di tutto il mondo: la Birreria U' Fleku.

Questo locale è davvero un’istituzione di Praga, tanto che il suo sito web ha un’aggiornata versione persino in italiano (cosa rara in città è trovare indicazioni in una lingua straniera che non sia l’inglese). Ci è stato consigliato da fonti fidate, come un posto da non perdere, e anche la nostra mini-guida lo segnala come un ristorante un po’ turistico, ma da visitare per l’atmosfera e l’ottima birra. Il birrificio ha più di 500 anni e, diciamocelo, ancora oggi lavora alla grande: la sua birra scura è davvero deliziosa.

All’ingresso i camerieri sono un po’ spicci, ma gentili, e ci trovano subito posto in una delle nove sale disponibili. In un’altra ha abilmente dirottato una comitiva di giapponesi incuriositi, ottimo, penso io, ma mi rabbuio un attimo quando sento il suono di una fisarmonica e vedo un omino che gira tra i tavoli in cerca di mance. Lì per lì ci resto male…in genere non amo molto questo genere di folclore un po’ forzato, anzi, se posso lo fuggo senza pensarci due volte, ma fiduciosa nei confronti dei miei “informatori” prendo posto al tavolo e le mie aspettative iniziali non vengono deluse.
Senza che nessuno abbia ordinato, il cameriere ci piazza sul tavolo due meravigliosi boccali di birra scura. Anche se non richiesti sono ben accolti, del resto la tradizione vuole che al tavolo sia portata birra ogni volta che il boccale si svuota e fino a quando i commensali non decidono di fermare la “corrente alcoolica”. Oltre alla birra arriva anche un bicchierino del liquore locale più famoso, la Becherovka, creato nel 1800, a base di piante e spezie, bevuto sia come aperitivo sia come digestivo.

L'interno della birreria U'Fleku...e il folcklore locale

In attesa dei nostri piatti, sorseggiamo le bevande, e in breve tempo l’allegria prende il sopravvento. Persino l’imbarazzante vecchietto che suona diventa una nota di colore in più, ma non è solo l’alcool che trasforma le cose, è l’atmosfera, perché in questo posto, turistico o meno, si sta proprio bene. Anche i cibi si rivelano all’altezza, con salse gustose e i soliti gnocchi che stavolta sono davvero più buoni. Unica nota deludente è stata il dolce. Volevo assaggiare, anche se ormai sazia dopo il consistente piatto unico, le palacinke, crepes dolci ripiene di frutta, che già avevo adocchiato con aria golosa in un altro locale. Peccato che in questo ristorante la frutta in questione fosse in scatola e per di più sciroppata. Peccato, perché la presentazione prometteva bene: montagna di panna, decori di topping al cioccolato…ma alla fine nulla di più di una crêpe dozzinale…e vabé, un neo superabile, anche perché ormai sono ubriaca da un pezzo e vittima di un memorabile attacco di risate incontrollabili. M. cede alla seconda birra, poi, dopo aver saldato un conto più che onesto, usciamo satolli e soddisfatti dirigendoci verso la prossima meta, il museo dedicato a Mucha.

Piccola premessa pre-museo: avevo già conosciuto questo autore, sia da qualche disegno catturato qua e là, sia visitando una bellissima mostra colta per caso un paio d’anni fa a Barcellona. Ero rimasta incantata e mi ero ripromessa di visitare il Mucha Museum di Praga, tanto da considerarlo destinazione imprescindibile di questo viaggio. Mi aspettavo più piani dedicati al pittore-illustratore, ero rimasta già incantata davanti alla vetrata della chiesa di San Vito su cui avevo riconosciuto le sue inconfondibili figure femminili, perciò vedere che il mitico museo esauriva tutta la sua collezione in un paio di sale mi ha lasciato un po’ delusa. La visita, quindi, si è rivelata più breve e meno interessante del previsto, così abbiamo lasciato l’edificio con perplessità e abbiamo proseguito la nostra passeggiata per il centro. Sul percorso improvvisato incontriamo altri edifici colorati, chiese, vicoli pittoreschi. Torniamo in hotel anche stavolta con i piedi fumanti, è comodo avere una città dove puoi raggiungere tutto a piedi, ma spesso sottovalutiamo il fatto che durante la vita di tutti i giorni passiamo la maggior parte del tempo seduti al pc, e questo si fa sentire. Ma una bella doccia rimette tutto a posto, e c’è ancora una serata particolare che ci aspetta, con un traghetto attaccato al molo sotto Ponte Cechuv pronto a portarci a spasso per la Moldava.

 Arriviamo in anticipo, godendoci il sole su una panchina del lungofiume. L’imbarco è più che puntuale, e il tipo dei biglietti aveva ragione: la serata è davvero “sold out”, vista la gente che in una coda ordinata si appresta a salire sulla barca. Il nostro tavolo è in un buon punto della nave, vicino alla finestra, dobbiamo dividere il tavolo con altre 4 persone, ma arriviamo per primi e scegliamo senza problemi i nostri posti a sedere. La Jazz Boat comincia a riempirsi, arriva al nostro tavolo una coppia di italiani dall’aria un po’ snob. Avevano prenotato via Internet e probabilmente sono rimasti delusi dal fatto di non trovarsi da soli. Lei si era preparata per una serata ultra chic: vestito in raso rosso cupo, spilla di strass, smalto e rossetto dello stesso colore del vestito, capelli con boccoli freschi di bigodino…ci guarda da dietro gli occhiali firmati con aria un po’ dubbiosa, noi, alla mano e vestiti in jeans, forse non si aspettavano nemmeno altri italiani potenzialmente pericolosi per la quiete della loro serata romantica. Io e M. la prendiamo allegramente, a me fanno anche un po’ tenerezza e immagino facilmente il loro disappunto nel vedere che la situazione non è proprio quella che avevano immaginato…e per fortuna dopo pochi minuti arrivano anche le altre persone che divideranno il tavolo con noi. Si tratta di una coppia di americani socievoli e informali, felici di aver incontrato qualcuno che parli inglese dopo vari giorni di viaggio. Sono di Orlando, in Florida, e prima di venire a Praga hanno trascorso qualche giorno a Parigi. Sollevati dalla simpatia e dal calore dei nuovi compagni di avventura, chiacchieriamo con loro in attesa della partenza.

La mini-crociera sulla Moldava è un’esperienza da non perdere per chi visita la città. Forse per me sarà stata anche la sorpresa della prima “cena sul fiume”, ma guardare le rive e gli edifici illuminati dallo specchio d’acqua ha un fascino tutto particolare e offre un punto di vista diverso sulle attrazioni già visitate durante il giorno. Il battello scivola sull’acqua mentre il sole tramonta, nel frattempo un’allegra banda di attempati jazzisti si scatena sulle note di vecchie canzoni in stile dixieland. Le chiacchiere, il vino, il cibo di qualità, il servizio efficiente e gentile, le promesse del volantino trovato in hotel sono tutte mantenute. A metà serata saliamo al piano superiore, all’aperto, per gustarci al meglio il panorama sulla città. Ai passeggeri seduti all’esterno il personale ha distribuito delle calde copertine in pile. Si sta proprio bene, nonostante l’umidità dell’aria, il viaggio procede sorridente e “festoso”. Una bella serata, e la musica, anche se non è il nostro genere, ci sta così bene che decidiamo di acquistare il cd della band per riportare a casa un po’ di quel sound fuori dal tempo.

 Vista dalla Jazz Boat

La barca fa un’inversione di cui nemmeno ci accorgiamo, e dopo due ore e mezza ci riporta sul molo sorridenti e soddisfatti. Torniamo a piedi all’hotel, a quell’ora Ponte Carlo è ancora più affollato che di giorno, e non solo di turisti tranquilli…ci sono anche gruppi di ragazzi italiani (quelli che ti fanno vergognare incontrandoli quando sei in giro) che schiamazzano e cantano a squarciagola. A parte il gran casino sembrano inoffensivi, sicuramente molto su di giri, e li supero per strada sperando che nella notte non incontrino teppisti locali altrettanto animati da patriottismo zelante (l’inno di Mameli urlato come una canzonaccia da stadio in quel posto tranquillo e pieno di storia suona quasi come una bestemmia).


La serata si conclude senza intoppi, la bottiglia di vino bianco comincia a farsi sentire, e il sonno ristoratore non tarda ad arrivare. Prossima tappa: la collina di Petrin.

Un nuovo viaggio: Praga




(data originale post: 05/06/2001)

Era un po’ che non parlavo di viaggi su questo blog, ne ho fatti un paio molto interessanti ma non ho avuto - per ora – il tempo per raccontarvi e farvi “assaggiare” un po’ dei luoghi che ho visitato.
Quello irlandese è stato un viaggio lungo e articolato, ci vorrebbero parecchi post, non è detto che in un periodo più tranquillo non mi metta d’impegno a scriverne, perché il posto merita, l’esperienza anche, e i ricordi sono ancora vividi, anche perché il tutto si è svolto in un momento speciale, è stato accuratamente pianificato, e goduto anche in barba alle agenzie che ci avevano fatto preventivi abbastanza consistenti e, diciamocelo, anche abbondantemente “fuori misura”.
Il secondo viaggio all’estero, su cui non mi soffermo sempre per motivi di tempo e lunghezza, è quello dell’anno scorso ai Castelli della Loira. Bei posti, mille cose da vedere, 5 giorni che non son bastati ma ci hanno dato un altro bel po’ di “carica emotiva” da riportare a casa…paesaggi, cittadine, persone, sapori, odori e colori…la consueta e gratificante esperienza multisensoriale che ti lascia ogni volta arricchito di mille nuove ispirazioni, di bei momenti da rivivere, della moltitudine di sensazioni che ci regala il contatto con la novità. Vi racconterò – spero anche questo, ma oggi parliamo di un’altra città.
La meta del mio viaggio primaverile, questa volta, è Praga.
“Praga è bellissima” è la frase standard quando annunci la tua prossima meta..e lì alzi le mani, non c’è nulla da fare, quando ricevi da TUTTI un commento del genere ti fai, per forza di cose, delle aspettative altissime, e quasi quasi in genere a questo punto io mi preoccupo anche un po’…perché per esperienza ho imparato che le aspettative su un luogo contano poco, rispetto all’esperienza complessiva e del tutto personale che possiamo farne in prima persona. E poi è strano, ho sentito pareri discordanti su tanti posti: Parigi, Londra, New York, la stessa Loira, l’Irlanda (di cui in genere ti dicono solo che “è tanto verde”), Madrid (“c’è tanta vita”), Barcellona (“ah, la movida di Barcellona!!!” ), ma su Praga il commento è sempre unanime: “Praga è bellissima”.

E allora andiamo a vederla, questa bellissima città, nemmeno tanto lontana da noi: ci vuole di più col treno a raggiungere Bologna, sono soltanto 2 ore scarse di volo, eppure ci penso solo adesso, per festeggiare in anticipo un anniversario e per ricevere un po’ in ritardo un regalo di Natale.
Prenoto online un volo con la Czech Airlines, un albergo in posizione strategica vicino Ponte Carlo, e via, alla scoperta della bellezza.

Il volo di mattina presto è un po’ scomodo, ma la promessa di avere una giornata intera in più a disposizione, ti fa accogliere con un umore migliore la sveglia alle 4.
Quando posso, viaggio così, la sveglia all’alba, la colazione al bar dell’aeroporto ancora molto intorpiditi dal sonno e dal freddo del mattino, la seconda colazione sull’aereo…piccole routine che ritrovi volentieri, piene di promesse…”Si prega di tenere gli schienali in posizione verticale…” ci annuncia dal monitor a cristalli liquidi un improbabile comandante bilingue dalla barba incolta. Io sfoglio la rivista della compagnia di bandiera, uno sguardo ai prodotti della boutique decidendo all’istante che la parure che mi piace a 170 euro resterà al posto suo, sorseggio un tè caldo riservando la merendina alla ciliegia all’attacco di fame post-viaggio.

Ci mettiamo poco, tra un’occhiata alla guida e una sbirciata dal finestrino due ore passano in fretta.
L’aereo atterra in una mattinata non particolarmente fredda, ma un po’ “capposa”, dal cielo biancastro. Seguo le indicazioni reperite in rete (santissimo Internet, come facevamo senza di te???) e, dopo lo svantaggioso cambio dei soldi in aeroporto, prendiamo il primo dei 3 mezzi pubblici per arrivare in hotel.
Se mi riferissi alla mia città, l’idea di prendere 2 autobus e una metro con bagaglio al seguito mi lascerebbe più che perplessa, ma in questo posto la fiducia è ben riposta: il bus passa subito, ci lascia dopo un breve percorso periferico al capolinea di una metropolitana rapida, efficiente e pulita. Da qui, il tempo di raggiungere il marciapiede di fronte e arriva subito il tram, in perfetta sincronia: una fermata e siamo a un passo dal nostro albergo. Un portiere dall’aria glaciale ci consegna la chiave della stanza…ma ci fermiamo davvero poco, per un breve “pit-stop”. Dopo 10 minuti siamo già in strada pronti a goderci ogni momento della nostra vacanza.

Devo ammettere ancora una volta che Internet si è rivelato utilissimo per l’organizzazione di questo viaggio: dopo uno studio accurato dei giudizi, delle distanze e delle descrizioni possiamo essere soddisfatti della nostra scelta, l’hotel si trova davvero “appiccicato” a Ponte Carlo, per me la zona più bella e suggestiva della città.
Ed è vero che è bellissimo, anche se ci sono troppi, davvero troppi turisti, le due torri ai lati del ponte ci lasciano sorridenti e stupefatti. Ci passiamo più volte al giorno, su questo punte gotico pieno di statue che attraversa la Moldava, collegando la città vecchia al quartiere di Malà Strana. Qualcuno ha scritto che questo posto è diventato una specie di mercato, per via delle numerose bancarelle ai lati della passeggiata, ma io ho molto apprezzato che non si tratti di bancarelle qualsiasi, quelle con la bigiotteria cinese e le sciarpette indiane, sono proprio gli artigiani, con tanto di foto e banchetto regolare, che espongono e vendono le loro opere ai turisti. Perciò, ben vengano anche le bancarelle, è piacevole passeggiare e fermarsi a guardare le statue barocche e poco dopo ammirare gioielli di smalto lavorati a mano o strani fermacapelli colorati dalle forme tondeggianti…insomma: anche il lato “commerciale” diventa un’attrazione che si fonde col paesaggio. Guardandosi attorno, ai lati le due grandi torri e in alto la mole imponente della cattedrale di san Vito che troneggia sulle costruzioni che fanno parte del Castello, dall’altra parte del fiume, i decori dorati di qualche tetto distolgono lo sguardo, che a breve torna a perdersi sulla larghezza del corso d’acqua, che scorre sereno e indifferente al caos di turisti e alle migliaia di scatti fotografici che ogni giorno gli sono dedicati.

Attraversato il ponte, la prima meta facendosi largo tra la folla è stata la Piazza Vecchia, dove ci siamo incantati a guardare la moltitudine di stili degli edifici attorno a noi.


Verso la Piazza Vecchia 

 Uno dei bellissimi palazzi decorati della Piazza

La Chiesa di San Nicola

Nel frattempo inizia a piovere, una pioggerella prima solo fastidiosa, poi sempre più insistente, tanto da costringerci a comprare un ombrello di fortuna. Ed è da sotto l’azzurro dell’ombrello che ci fermiamo col fiato sospeso assieme alla folla che attende i rintocchi dell’orologio. Sul palazzo del Municipio, infatti, è collocato il bellissimo orologio astronomico, circondato da figure allegoriche (la Vanità, l’Avarizia, il Turco, la Morte) che allo scoccare di ogni ora si animano e ammaliano migliaia di turisti divertiti.
Al di là dello spettacolino meccanico, l’orologio è davvero bello, tanto da essere riprodotto ovunque, su magliette, tappetini per il mouse, calamite da frigo e chi più ne ha più ne metta: è uno dei simboli cittadini conosciuto in tutto il mondo.


L'Orologio

Dopo i rintocchi delle 11, continuiamo a girare per la piazza, la gente si disperde un po’, attirata dalle numerose facciate colorate degli edifci. Altro elemento “aggregante” sono i banchetti posti al centro della piazza, che diffondono nell’aria fumi e profumi invitanti: ci sono i Trdli, tipici dolci locali cotti sulla fiamma, arrotolati su rulli girevoli, dal seducente odore di vaniglia, poi da una parte un banco di spiedini alla griglia e per finire dei grossi spiedi su cui si abbrustoliscono sfrigolando gli immancabili prosciutti di Praga. Non si sa dove guardare e dove annusare. In un’altra piazza poco più avanti abbiamo scoperto anche un fornitissimo mercato, che accanto ai banchetti di souvenir offre cestini colmi di frutti di bosco…non resistiamo, e meno male: ci sono le more più dolci che abbia mai mangiato, fragole, mirtilli, lamponi maturi al punto giusto, insomma…una delizia.

Il banchetto con i trdli, specialità locale

Continua a piovigginare e noi proseguiamo la nostra passeggiata inoltrandoci nel quartiere ebraico. C’è da notare che sotto la pioggia questi edifici e soprattutto la storia che hanno alle spalle sembrano – se possibile – ancora più tristi…concordiamo sull’idea di sorvolare la visita al cimitero. Passando accanto a questi luoghi mi sento pervasa dal solito immancabile senso di dolore e vergogna nei confronti della razza umana…mi soffermo sull’insensatezza di gesti così fuori dalla ragione, sul fatto che siano stati condivisi (e lo siano tuttora, sebbene da una stretta minoranza) da tante persone…insomma, non c’è bisogno di guardare le tombe per essere pervasi da un senso di ribellione e sofferenza, basta attraversare queste strade, pensare di essere in un “ghetto”, immaginare per un attimo le vite che lo hanno attraversato. Decidiamo di visitare la Sinagoga Vecchia-Nuova, dove un’inquietante vecchina da capelli radi e gialli e l’aspetto mummiesco invita M. a indossare il copricapo ebraico e ci consegna delle guide in italiano con le spiegazioni di quello che troveremo all’interno.
La sinagoga, in cui non ho fatto foto, è la più antica d’Europa e risale al 1270. Al contrario delle nostre chiese cariche di affreschi, statue e decorazioni varie, è molto spoglia e austera e in stile gotico. Ci sediamo sui sedili di legno che circondano le pareti, per consultare la guida e guardarci attorno, poi risaliamo all’esterno e accogliamo con sollievo l’aria fresca della strada. Prima di andar via compro un libricino sul Golem, figura mitologica leggendaria, un gigante di argilla creato per difendere il popolo ebraico dai suoi persecutori. Apprendo che, come un antico Frankestein, anche il Golem, secondo la leggenda si ribellò - per un errore umano – al suo creatore, divenne un mostro distruttivo e dovette essere annientato prima che radesse al suolo l’intera città. Una storia senza lieto fine, ma carica di misteri, che ci ha risvegliato l’appetito.

Entriamo in un pub per il pranzo, fortunatamente i menù sono scritti anche in inglese, perché l’alfabeto e la pronuncia del posto ci sono del tutto ostili. Ordiniamo due belle birre scure e vai coi piatti locali, con i crauti e gli immancabili gnocchi di pane di accompagnamento. Ancora non ho ben capito se questi benedetti gnocchi (che poi non sono gnocchi, ma delle fette morbide dalla consistenza gnoccosa, cotte a vapore) mi piacciono o no. Ce ne sono di diversi tipi: di pane, aromatizzati allo speck, di patate ecc. Hanno in comune il fatto di essere molto sazianti e piuttosto “massicci” e di legare benissimo con le salse delle varie pietanze con cui vengono proposti sempre e comunque.
Un pranzo abbondante e nel complesso piacevole, ci rimette in moto verso strade piuttosto affollate. La sosta al mercato, e poi Piazza Vinceslao, la piazza che sembra un grande viale alberato. Negozi modernissimi e forse persino troppo “globalizzati”, ci sono tutti i maggiori grandi magazzini internazionali, il localissimo Bata per le scarpe con un’esposizione di sei piani, gallerie di negozi che non visitiamo per motivi di tempo (e anche di voglia, di negozi internazionali stile H&M abbiamo già fatto il pieno a casa nostra) e locali notturni e non. Altra caratteristica del posto sono i chioschetti dei wurstel…di tutte le fogge e colori ai due lati della piazza. Il profumo è davvero tentatore, ma siamo ben rimpinzati e rinviamo alla prossima visita. Devo dire che c’è una bella tradizione per lo street food da queste parti, ma la maggior parte delle volte abbiamo resistito all’acquisto per scegliere un posto più comodo dove mangiare e riposarci un po’.
C’è anche un localino che fa un caffè un po’ annacquato ma potabile (l’unico posto al mondo dove ho visto pubblicizzato un “ristretto doppio”…), ne approfittiamo per una sosta e poi torniamo in hotel perché la sveglia alle 4 di mattina comincia a farsi sentire…

In hotel lasciamo le finestre aperte e, nonostante qualche rumore dalla strada, piombiamo in un sonno profondo. La passeggiata pomeridiana prevede una bella salita sotto la pioggerella fino all’entrata del castello, dove prendiamo informazioni su orari e biglietti e ci fermiamo ad ammirare il panorama dall’alto. Peccato per il tempo, la vista è davvero bella e nonostante le nuvole è sempre piacevole ammirare i monumenti di una città dall’alto, curiosare sulle terrazze delle case, soffermarsi sui dettagli che si perdono quando si cammina per strada. Si riscende poi verso il ponte Carlo per un giretto sull’isola di Kampa. Una volta territorio di mulini, quest’isola sul fiume è ora una piccola oasi lontano dalla folla che passeggia sul ponte. Ancora una volta la pioggia sottile non ci permette di vedere questa zona al meglio delle sue possibilità. I bar e i pub che si affacciano sul fiume hanno tavoli deserti e ombrelloni ripiegati. Ci gustiamo, però, un’allegra famiglia di anatroccoli che fanno il bagno assieme alla mamma vicino alla riva. Qualche foto ai negozietti di artigianato, e ancora passi su passi, fino all’ora di cena. E a questo punto, la fortuna ci assiste, e scoviamo un locale davvero da consigliare. Si tratta del ristorante Tri Stoleti, a due passi dal nostro albergo, un locale carino dove troviamo l’unico posto libero e passiamo una piacevolissima serata. Ottimo cibo locale e non, vini al bicchiere, servizio gentilissimo, dolci da non perdere e conto più che onesto, tenendo conto che a Roma con la stessa cifra si riesce a mangiare a malapena una pizza in un locale del centro.

La nostra prima giornata praghese ci lascia stanchi ma soddisfatti. Nonostante la vicinanza con il ponte, i rumori della strada non si sentono grazie alle finestre dai doppi vetri…unico neo, non ci sono tapparelle o persiane, perciò dalle prime ore dell’alba la luce filtra attraverso le tende, e se il sonno è leggero sono guai…
Dormo poco, ma non importa, il letto è comodo, il cuscino anche, e mi aspettano altre cose da vedere.

Briciole d’Irlanda, parte 2°*



(data originale post: 01/09/2009)

Dopo la parentesi - seria e doverosa- dedicata alla brutta avventura della mia amica Cristina, riprendiamo con qualche piccolo ricordo della mia vacanza irlandese.

Il cibo – Mangiare in Irlanda non è mai un problema, ci sono pub e ristoranti ovunque, tavole calde presso i centri turistici, panini pronti nei supermarket, catene di fast food anche nel paesino più piccolo e sperduto.
La qualità del cibo è generalmente buona, carne e pesce abbondanti e ben preparati, insalate, verdure e dolci di vario tipo, il vero problema è l’assenza di varietà.
In tutta l’isola, i piatti proposti sono più o meno sempre gli stessi. Il classico stufato irlandese, spesso a base di birra Guinness, zuppe, pollo arrosto, salmone alla griglia o a vapore, pesce fritto, hamburger, bistecche.
Per i più goderecci aragoste e ostriche a volontà (che a me, però, non sono mai piaciute).
Altro problema è il prezzo del mangiare, i piatti sono cari anche nei pub, la spesa media si aggira attorno ai 20-25 euro a testa per un piatto unico e una birra media.
L’uso dell’olio d’oliva è praticamente assente. Si cucina quasi sempre col burro o a vapore, utilizzando salse e intingoli per ammorbidire e insaporire qualsiasi piatto.
Persino l’insalata è condita con un improbabile “dressing”, un miscuglio dall’aspetto poco rassicurante e dal sapore fin troppo deciso.
Il pane a tavola è spesso un optional, che va richiesto a parte. Con espressione incuriosita, alla richiesta di pane per accompagnare una pietanza, il cameriere porta quasi sempre un piattino con due fettine (piccole ma massicce) di pane scuro e l’immancabile dose di burro.
Le insalate contengono sempre abbondanti dosi di cipolla cruda. A fette, a pezzetti, tritata…anche buona, per carità, ma con quel sapore così persistente e “invadente” che qualche ora dopo ti fa pentire di averne anche solo assaggiato una forchettata.
Le cittadine sono anche piene di ristoranti etnici, soprattutto cinesi, indiani e thailandesi. Noi abbiamo ceduto (per noia alimentare) solo una volta per un pranzo economico all’indiano…non male, bene arredato, servizio gentile…niente di memorabile in ogni caso.
Per quanto riguarda i piatti “tipici”, ottimo lo stufato alla Guinness (che ti venga propinato un po’ ovunque è un’altra faccenda), buono il salmone (ma non così “tipico” come potessi aspettarmi), ricco e croccante il fish and chips (se mangiato nel posto giusto, e stavolta siamo stati fortunati), gustosa e prelibata l’apple pie, che resta uno dei miei dolci preferiti in assoluto.
Durante questo viaggio “speciale”, abbiamo anche cenato in un paio di ristoranti un po’ più costosi, deliziandoci con qualche ricetta un po’ più creativa, come le trote cosparse di mandorle e scorzette di limone, ripiene di puré al chorizo, l’anatra alle ciliegie con cavolo rosso, le frittelle di pesce allo zenzero, o una goduriosa torta tiepida di pan di spezie, pere e toffee…

Un capitolo a parte merita l’organizzazione dei pasti.
La prima colazione Irlandese è un pasto vero e proprio, che non ha nulla a che vedere con il veloce spuntino caffè-e-cornetto a cui siamo abituati noi.
Il tipico Irish Breakfast, servito con orgoglio nei pub e in qualsiasi hotel o guesthouse che si rispetti, è composto da:

- Un paio di uova all’occhio di bue o strapazzate
- 2 Salsicce fritte
- 2 fette di pancetta
- Funghi o fagioli
- Una fetta di Black pudding (sanguinaccio)
- Una fetta di White pudding (carne di maiale, grasso e farina d’avena)
- Pomodori grigliati

Queste sono le dosi per una persona.
Per tutto il viaggio mi sono chiesta come si affronti in questo paese il problema del colesterolo…
E vi confesso che, per una volta, la mia curiosità è stata tenuta a bada da un rifiuto totale, di prima mattina, nei confronti della colazione grassa e salata.
Non ce l’ho fatta, neanche una volta, con tutte le migliori intenzioni, ad iniziare la mia giornata con un simile affronto calorico…mi sono sempre limitata ai cereali, allo yogurt, e al pane tostato con burro e marmellata, sotto lo sguardo stupefatto del cameriere di turno che ogni volta sbalordito mi chiedeva “tutto qui?”.

Altro pezzo forte della colazione irlandese è il porridge.
Questo l’ho voluto provare.
Qualcuno mi aveva detto “Vale, il porridge fa davvero schifo”…ed io avevo pensato che in realtà non poteva essere così male. In fondo, dai, cosa sarà di male una pappa d’avena, a me i cereali piacciono tanto, ho trangugiato per anni gli All Bran, il riso soffiato, i cornflakes, e tutti quei fiocchi che sciolti nel latte si trasformano in una zuppa informe, cosa sarà mai un pappone in più?
Ed eccomi qua, seduta ad un tavolino con una spettacolare vista sull’oceano, in attesa del mio “porrige with fresh cream and honey”…crema di latte e miele…sembra una vera squisitezza con cui iniziare la mattinata…
E invece…
E invece, chi mi aveva avvertito, lo aveva fatto davvero col cuore.
La cameriera è arrivata con una ciotolina fumante…ma al contrario di ogni mia aspettativa, quel fumo non faceva nessun odore.
Il colore era lattiginoso, con i semi di avena talmente cotti da sembrare perle gonfie e trasparenti.
Ho aspettato che il calore diminuisse un po’, ho versato una buona dose di miele e panna fresca, mescolato con cura preparandomi a gustare chissà che sapore delicato e speciale…e….Colla da parati. Gelatinosa, vischiosa, totalmente insipida. Ho aggiunto miele, ho versato altra panna, il risultato non è cambiato affatto. Credo che il porridge sia stato in assoluto l’esperienza più deludente che ho avuto in questo paese…
Che dire, sono stata fortunata, in fondo…se la cosa più brutta è stata solo una colazione andata male…

E dopo la colazione, il pranzo…
A pranzo, anche d’estate con 30 gradi, è di rigore la zuppa, anzi, la “soup du jour”, scritto ovunque in francese, chissà poi perché.
In genere è sempre una zuppa di verdura. Bella calda, densa e gustosa.
Io ho assaggiato quella di carote e mi è piaciuta molto…se non fosse per il sole cocente sarei riuscita a finire tutta la ciotolona colma fino all’orlo.
Poi ancora sandwich di pollo freddo, insalate cipollose, e arrosti a volontà.

Per la cena, invece, nei pub bisogna andare presto, perché la cucina chiude alle 21.30.
Ma se si arriva per tempo (e in genere la fame non tarda a farsi sentire), spesso si scopre una cucina originale e curata all’altezza di un buon ristorante.

Per i nostalgici della cucina di casa, in Irlanda ci sono anche moltissimi ristoranti italiani. Io, da brava Vale-turista, ovviamente non ci ho mai messo piede. Ho provato, una delle 15 sere, ad assaggiare una carissima pizza in un pub. E mi sono detta “ben ti sta!” dopo 5 secondi dal primo morso.

Credo che nei prossimi post parlerò ancora di cibo e di piatti assaggiati in Irlanda. Anche quello, del resto, è parte integrante del viaggio e resta uno dei ricordi più nitidi anche a distanza di tempo. Perché in vacanza le cose hanno tutto un altro sapore. Lo stesso sapore, che alla fine, una volta tornati a casa, buono o meno, ci manca e siamo felici di avere, almeno una volta, provato anche noi.

* Nella foto (mia), tipico cibo grasso da vacanza: patate fritte, onion rings, e l'immancabile maionese all'aglio.

Briciole d’Irlanda - prima parte



(data originale post: 21/07/2009)

Prima di cominciare con il resoconto del viaggio (stavolta sarà necessariamente ridotto per motivi di spazio e tempo) pensavo di buttare giù qualche impressione generale raccolta in questi 15 giorni trascorsi alla scoperta dell’Isola.
Inizierei ringraziando di nuovo tutti quelli che hanno reso possibile e bella questa vacanza-regalo, permettendomi di prenotare alberghi particolari e di starmene in giro per questo splendido paese due settimane di seguito senza paura di restare in bolletta.
Due settimane, in realtà, volano in fretta e non sono sufficienti per gustarsi tutto con calma, ma ci hanno offerto una bella panoramica di posti, persone, paesaggi e cultura.
Ecco un po’ di impressioni in ordine sparso.

Il verde – La chiamano, a ragione, la “verde Irlanda”… le foto che trovate sul web fanno mille promesse , e questo splendido paese le mantiene tutte. Un verde particolare, con infinite sfumature, che cambiano con il mutare della luce del sole…distese sconfinate d’erba, colline, montagne, campi…la natura prevale sulla città. Anche nei centri abitati, grandi spazi sono dedicati ai giardini pubblici. E sono giardini “veri”, tutti da vivere, dove si può camminare senza fare lo slalom tra cartacce e bottiglie abbandonate, e prendersi momenti di relax sdraiandosi a terra, senza paura di sporcarsi con i “ricordini” di qualche cane indisciplinato…Le multe per chi sporca sono molto salate e il senso civico molto radicato.
Ogni castello e palazzo ha la sua tenuta, veri e propri parchi curatissimi, spesso con piante esotiche e fiori di tutte le dimensioni…I campi da golf abbondano in tutto il paese, e quell’erba fitta, che sembra quasi moquette, ci fa dimenticare il grigio dell’asfalto trasmettendo un senso di pace e tranquillità.
Per gli amanti della natura, sia di quella “addomesticata” che di quella selvaggia, l’Irlanda è la meta ideale: il suo verde è davvero per tutti i gusti.

Il tempo – La prima cosa che mi hanno detto quando ho parlato del mio viaggio in Irlanda è stata “mmm, bello, però ricordati che piove sempre”. Non è un bel modo di prepararsi a partire, sapere di dover girare tutti i giorni con l’ombrello…ma vi dirò…non si tratta tanto di pioggia, quanto di instabilità.
Il tempo che abbiamo trovato non è stato particolarmente piovoso (pare che giugno sia un ottimo periodo per visitare il paese) quanto variabile.
Dei quindici giorni trascorsi sul posto, sarà stata fortuna, abbiamo trovato moltissime giornate di sole…ma più che giornate si tratta di “momenti”, più o meno lunghi, perché spesso il tempo cambia ogni 5 minuti, e disorienta un po’.
Ti svegli la mattina col cielo coperto di nubi, aspettandoti il peggio…poi il tempo di far colazione ed esci con un sole radioso che scalda persino il cuore…Passa una mezz’oretta e arriva una pioggerellina insidiosa, di quelle per cui non vale la pena di aprire l’ombrello, ma ti impasta i capelli in un groviglio informe. Gli abitanti del posto non ci fanno nemmeno caso…non cercano un riparo nemmeno sotto l’acqua scrosciante, continuano a camminare come se nulla fosse…forse perché riescono a capire che durerà poco, che è solo un attimo e a breve le nuvole se ne andranno.
Insomma, se decidete di fare un salto da quelle parti, vi sarà utilissimo un k-way. Oltre a ripararvi dalla pioggia, vi proteggerà anche dal vento e diventerà parte integrante del pratico abbigliamento “a strati”, necessario per fronteggiare ogni capriccio meteorologico.

L’armonia – avrei potuto parlare di “ordine”…ma non avrebbe reso l’idea allo stesso modo. Nelle cittadine irlandesi, come nelle campagne, le cose non sono semplicemente “al loro posto”…sono in armonia.
I marciapiedi sono puliti, le strade asfaltate alla perfezione, l’erba tagliata al punto giusto. Ogni posto da vedere ha il suo centro visitatori con bagni gratuiti, funzionanti e il più delle volte persino profumati. Brochure illustrate e cartine sono disponibili ovunque. La casa di campagna più sperduta ha i fiorellini alle finestre…sembra un altro pianeta. Fuggendo dal caos italo-metropolitano quasi un paradiso.
La prima cosa che mi salta in mente è che i nostri “amministratori” dovrebbero farci un giro e prendere esempio…L’Irlanda non è un paese particolarmente ricco, ma ha una dignità e un decoro che ci lascia davvero in ginocchio.

La disponibilità – in tutto il viaggio non ho trovato una singola persona sgarbata. Gli automobilisti sono disciplinati e rispettosi, danno la precedenza ai pedoni e ti fanno attraversare con un cenno della mano anche quando e dove non potresti. Se per strada ti fermi a guardare una cartina con aria perplessa, qualcuno spesso si ferma a chiederti se vuoi una mano. I cassieri dei negozi sono ottimi intrattenitori, ti chiedono da dove vieni, quanto tempo resti e ti augurano buone vacanze alla fine della conversazione. In ogni punto di ristoro, dal ristorante al pub, il cameriere di turno passa di tanto in tanto a chiederti se il cibo e le bevande sono di tuo gradimento. Questa serie di piccole cortesie, che a pensarci bene sono solo esempi di convivenza civile e buona educazione, ci lasciano a bocca aperta. Non ci siamo abituati. Nella grande città italiana, dove tutti si fanno i fatti loro e passi il tempo a sgomitare cercando di conquistare il tuo spazio mentre attorno a te tutti cercano di salirti sui piedi…i primi tempi fatichi quasi a crederci. E se qualcuno si avvicina a parlare la prima cosa che ti viene in mente è “ ma questo qui che vuole?”. Ma alle cose buone, per fortuna, ci si abitua in fretta…e la buona educazione, la cortesia e il buonumore degli irlandesi diventano ben presto una costante che rende ancora più sereno il nostro viaggio…e mette una gran voglia di tornare.

*Quello nella foto è un crumble di mele...ve ne parlo un'altra volta...

Un altro viaggio


Nota del 2014 - questo post doveva essere l'inizio di un lungo racconto di viaggio particolarmente importante. Non si trattava di una vacanza qualsiasi, ma del mio viaggio di nozze, un percorso "speciale", accuratamente pianificato e vissuto nel migliore dei modi. Purtroppo diverse circostanze hanno impedito che al mio ritorno riuscissi a scrivere (e a descrivere) quello che volevo, e i post sono rimasti fermi alle prime impressioni, senza raccontare nulla del viaggio vero e proprio. Conto di riprendere il mio racconto dove lo avevo interrotto prima possibile, perché ne vale davvero la pena.

(data originale post: 07/07/2009)

Sembra che per una strana serie di coincidenze quest’anno riesca ad approdare sul blog solo per raccontarvi delle mie avventure di viaggio. Eppure questi giorni non sono stati così piatti come potrebbe apparire…forse, al contrario, la frenesia delle giornate e dei pensieri mi ha impedito di prendere il tempo necessario per fermarmi a scrivere…e solo ora, di ritorno da una lunga vacanza itinerante, mi impongo di raccogliere le idee e mettere tutto nero su bianco (o pixel su pixel…insomma fate un po’ voi).

Ve l’ho già detto, c’è stato un anello di mezzo, con tutta l’organizzazione che comporta, una serata che più splendida di così sarebbe stato difficile, due giorni di liste e valigie, e poi il decollo….verso il nord.

Stavolta vi parlo di Irlanda.
E non sarà una cosa “toccata e fuga”, perché finalmente dopo tempo immemore sono riuscita a prendermi 2 settimane tutte per il mio (nostro) viaggio, e per visitare il paese in lungo e in largo, almeno vederne (e goderne) un bel po’…anche se mi guardo indietro e ogni giornata sembra un attimo.

Prima di tutto il motivo della scelta.
Un gran bisogno di verde.
Al bando le Seychelles e le Maldive di turno….so che saranno senz’altro posti meravigliosi…ma sono sicura che mi sarei annoiata a non finire dopo soli 3 giorni di spiaggia, cocktail con ombrellino e cucina del villaggio. Senza parlare dei turisti italiani…magari in luna di miele…lungi da me….facciamo un’altra volta…
Avevo bisogno di aria, ossigeno, campi, colline, montagne, mare in tempesta. Avevo bisogno di tagliare dalla mia cultura, di tuffarmi in un mondo non troppo lontano ma differente dal mio.
Di scappare dal traffico, dai computer, dal caldo afoso, dalle tavole calde, dai colleghi pesanti.

Ho preso cataloghi, chiesto preventivi, progettato un itinerario e alla fine ho fatto da me. Prenotando tutto sul Web, 15 giorni, 11 alberghi, tante destinazioni. Partenza da Dublino, noleggio macchina, navigatore alla mano (barattato da Mediaworld in cambio di una Mokona che nella mia cucina non sarebbe mai entrata), un percorso articolato tra natura e cultura, città e campagna, antico e moderno. Un sacco di carne al fuoco.

Due valige a testa perché ci piace avere tutto a portata di mano (lo so, in campeggio non durerei più di 3 giorni) , e perché il tempo da quelle parti è perennemente instabile. Magliette, maglioni, felpette, giubbini, costumi da bagno (non si sa mai), vestiti eleganti (c’erano castelli di mezzo…e cene romantiche in vista, come da copione), mappe, voucher virtuali, il phon (prezioso alleato del capello ribelle sotto le avverse condizioni atmosferiche), scarpe (perché –ammettiamolo- è vero che non sono mai abbastanza) e tutto quello che la fantasia mi ha suggerito in due giorni di pausa tra la festa e la partenza.

Molti mi avevano detto che mi sarei stancata (pensavano, sospirando, alle palme e agli ombrellini sulla piña colada) e non avevano tutti i torti…ma devo ammettere che ne è valsa la pena, almeno per avere una panoramica su questo magnifico paese e su tutte le bellezze che offre per ricaricare il corpo e lo spirito…
I panorami che ho visto, i posti che ho visitato, l’aria che ho respirato…e i suoni, la musica, i sapori, gli odori…queste esperienze sono state il regalo più bello che parenti e amici potevano farmi per festeggiare questo evento speciale.
Li ringrazio tutti, uno per uno.
E vi racconto, per quanto possibile, un pezzetto di questa avventura…

Osteria della Sòla



(data originale post: 19/03/2009)

Sono due giorni che inizio a scrivere questo post e succede qualcosa che mi fa rimandare….è un po’ la caratteristica di questo periodo, non si riesce a trovare un attimo per fermarsi, mettere a posto le idee e scrivere, anche se la lontananza dal blog si fa sentire e mi vengono in mente mille idee che sono costretta a mettere da parte.

Iniziamo dalla sòla, che non è una suola di scarpa né una tizia dall’accento strano che soffre perché abbandonata da tutti, ma la classica “fregatura” in gergo romanesco.
In più di un’occasione vi ho raccontato che sono una gran golosa, e quando posso mi piace sperimentare nuovi locali. In genere, dato che in cucina non me la cavo troppo male, specialmente nelle occasioni un po’ più “importanti” non vorrei “solo” mangiare bene, ma anche trovare un ambiente particolare, inusuale, un po’ di originalità che mi faccia rimanere soddisfatta per aver speso soldi in più e non essere rimasta a casa a preparare qualcosa nella mia mini-cucina da alchimista…
Ero convinta di trovare proprio questo, quando ho deciso di prenotare in questo ristorantino del centro…Date le premesse mi sembrava il posto giusto per passare una bella serata, festeggiare un evento piacevole, assaggiare qualcosa di speciale e tornare a casa con un bel sorriso.

Ci eravamo capitati per caso qualche tempo fa, passeggiando tra le bancarelle di una mostra di pittura, in una via animata e suggestiva della Capitale. Da fuori il posto sembra un piccolo gioiello, in mezzo a tanti locali standard e un po’ asettici: le finestre incorniciate di blu, gli ombrelloni all’entrata, le finestre del primo piano semiaperte da cui si intravedono lampadari di stoffa dal gusto un po’ retrò. Un’edera rampicante che ricopre parte della palazzina dà al tutto un’aria pittoresca e fuori del tempo. E’ amore a prima vista. Ma quel giorno abbiamo altri giri da fare, prendiamo nota del nome e ci promettiamo di tornarci alla prima occasione.

E così un giovedì, dato che è 12, dato che non c’è nulla in frigo, dato che la settimana è stata pesante e la voglia di gratificazione aumenta in proporzione, colgo la palla al balzo e chiedo a M. di prenotare un tavolo.

Fa freddo, quella sera, ma dopo tante giornate minacciate dalla pioggia una volta tanto non c’è bisogno di aprire l’ombrello. Parcheggiamo piuttosto lontano, come sempre quando si tratta di fare un’incursione in centro senza i mezzi pubblici. La colonnina del parcometro, attivo fino alle 3 di notte, ci attende come una sentinella e reclama il suo dazio. La camminata sui sampietrini (ma perché non ho messo le scarpe da ginnastica invece di questi simpatici stivaletti che si infilano in ogni fessura?) sembra una prova a ostacoli, ma c’è l’attesa della cena in quel posto così carino, che mi fa dimenticare ogni scomodità.

All’ingresso siamo accolti da una ragazza gentilissima (dato degno di nota, credo sia l’unico punto di forza che ho trovato in questo ristorante) che ci chiede i giacconi, li appende a una stampella, e ci consegna una carta da gioco per il loro ritiro. Da lì comincio ad intuire che il conto della cena non sarà particolarmente economico…ma fa niente, una volta tanto si può fare.

Inizia la prima nota stonata: nonostante avessimo prenotato e la sala fosse vuota, ci viene assegnato un tavolino piccolo e scomodo, quasi di taglio alla porta (e alla relativa corrente fredda). La cameriera ci vede delusi, ma è simpatica e gentile, perciò decide di accontentarci spostandoci in un angolo un po’ più comodo e discreto (“sapete, il principale non vuole che diamo questi tavoli alle coppie….non si sa mai che debba arrivare una comitiva…possiamo unirli e fare un tavolo unico…”). Ma il locale non è affatto pieno. Anzi.

L’aspetto all’interno mantiene abbastanza le promesse. Luci soffuse, illustrazioni di pop-art alle pareti, un misto un po’ kitch ma gradevole di richiami antichi e moderni.
Il tavolo è piccolo. Troppo. Ci portano il cestino del pane e quasi non c’è spazio dove poggiarlo. Forse colpa degli enormi sottopiatti di vetro, che prendono quasi tutta la tovaglia, ogni portata diventa il pretesto per equibrismi ed incastri stile “tetris”.

Apriamo il menù. Chissà perché da un posto così mi aspettavo una proposta completamente diversa. Sognavo rivisitazioni, creatività, macrobiotica, quello che volete, ma mai il classico menù per turisti con pasta al ragù, ravioli, lasagne e carbonara. A prezzi, ovviamente, stellari. Mi cadono le braccia mentre leggo e rileggo le voci della lista. Le scaloppine al marsala (che preparo a casa quando ho poca fantasia e poco tempo) vengono 14 euro…e sono uno dei piatti più economici. I contorni vengono 8 euro, 7 le patate al forno. Ma si sa, siamo in centro… Mi guardo attorno e realizzo che i pochi tavoli liberi sono quasi tutti occupati da stranieri. Siamo in trappola.

Dopo averci pensato un bel po’, mi butto sul piatto più originale tra quelli elencati: “gnocchi con le vongole” chiediamo con aria speranzosa alla cameriera (dato che è giovedì, secondo la tradizione dovrei trovarli fatti il giorno stesso). E invece no. “Oggi non serviamo pesce. Lo trovate solo il martedì, il venerdì e il sabato”. Perfetto…si dimezza la scelta del menù…Ci guardiamo sconsolati. “Hei” sussurro a M. con aria complice e un po’ sconfitta “A me di queste cose non attira nulla!” “Neanche a me” fa lui, che in genere è una buona forchetta, ma come me si aspettava qualcosa di diverso. “E adesso che facciamo?”… Ricominciamo a leggere e rileggere, alla fine l’unico piatto che ci attira, perché diverso dalla fettina alla piastra e dal filetto ai ferri che possiamo mangiarci comodamente a casa nostra, è la coratella con i carciofi.

Piatto povero e tipico della cucina romano-laziale, la coratella è un piatto (bello pesante) a base di interiora d’agnello. Ne ho già parlato qualche tempo fa….a proposito di un altro ristorante. Non lo mangio mai, è una di quelle classiche pietanze che uno mangia una o due volte l’anno, perché non ho nemmeno capito bene se mi piace sul serio… però è sfizioso, e con i carciofi non l’ho ancora mai assaggiato.

Dato che io e M. non siamo grandi bevitori (mi piace bere bene, ma in modica quantità), chiediamo se sono disponibili mezze bottiglie o vini al bicchiere. La cameriera ci guarda con aria costernata “In realtà sì, abbiamo il vino della casa…” ma dalla faccia non sembra affatto convinta “è un vino toscano….e…ehm…buono….ehm…se volete ve lo faccio assaggiare”. Mi volto con discrezione e vedo che agli altri tavoli si deliziano con questo vino della casa, ma la titubanza della nostra simpatica ospite ci fa pensare che forse sì, conviene assaggiarlo prima di ordinarlo sul serio. E infatti è una porcheria. Prima di tutto sta in un bottiglione da cinque litri, di cui occupa nemmeno un quarto. Segno che è stato aperto già da un bel po’. Il tappo è un normale tappo a vite, un trattamento che in breve tempo metterebbe a dura prova anche il migliore dei vini da tavola. All’assaggio è aspro, alcolico e per niente piacevole da bere. Ci dirottiamo su un’economica (secondo il menù) bottiglia di Nero d’Avola da 20 euro. Il cestino del pane ha 2 fettine di casareccio, tutto il resto è alle olive (che detesto, ma è colpa mia).

La coratella arriva dopo il giusto tempo di attesa, l’aspetto è appetitoso, fa un buon profumo, anche se al posto dei pezzettini di carne a cui ero abituata, trovo dei tocchettoni che di abbacchietto hanno davvero ben poco…il sapore infatti è molto forte, troppo, la carne è dura e gommosa, i carciofi sono stati cotti con tutte le foglie esterne, che restano fibrose e intatte anche dopo lunghi minuti di masticazione. Cerco di mantenere il contegno e mastico…mastico…mastico…Io e M. ci guardiamo ridendo perché non sappiamo dove buttare queste benedette foglie che non vogliono saperne di ammorbidirsi. Alla fine, sconfitti, le abbandoniamo discretamente nell’angolo del piatto, e per evitare che si formi un mucchietto di carciofi sputacchiati, evitiamo di mangiarne altri.

Torna la cameriera e ci chiede se vogliamo un dessert. “Che dolci ci sono?” “Allora…Strudel di mele…” la cosa si fa interessante ma….“No!” grida una voce dal fondo della sala “lo strudel è finito!” “Ah!” fa la nostra cameriera arrossendo “Allora solo crostata di ricotta e tiramisù” . Ci arrendiamo e chiediamo un caffè, rinunciando a prendere una comunissima macedonia da otto euro (che con la frutta invernale, è garanzia di sapore e vivacità).

Il caffè è buono, per lo meno. Ma la cena è stata davvero pessima. Poca scelta, nessuna originalità, piatto di qualità davvero scarsa. E la sòla più grossa è il conto. Una bottiglia d’acqua, una di vino, due secondi (di frattaglie!!!), pane e due caffè, per la modica cifra di 80 euro. “La prossima volta andiamo al T-bone”…mi fa M. con aria complice ma visibilmente insoddisfatta.

Mi dispiace per i turisti, e per la mia città, che si merita una cucina migliore, ristoranti migliori, e proprietari meno “furbetti” e attenti alla clientela. Nota di merito alla ragazza che ci ha servito quella sera, evitandoci almeno una cattiva bevuta.

La prossima volta, spero di capitare in un posto migliore e, perché no, riuscire a suggerirvi un locale dove passare una bella (e “buona”) serata.

Barcellona - ultimo giorno

(data originale post: 05/03/2009)

L’ultima mezza giornata a Barcellona ci accoglie di nuovo con il sole. Meno male, il volo è prenotato per il pomeriggio e possiamo adarcene in giro ancora per qualche ora. Decidiamo di tornare a Montjuic per la visita del Pueblo Espanol. Si tratta, secondo la nostra guida Lonely Planet, di un posto estremamente turistico ma per certi versi davvero interessante. E’ stato ideato da un team di architetti e artisti che, dopo aver visitato 1600 località di tutta la Spagna, hanno voluto riunire in un solo luogo un assaggio di tutti i diversi monumenti e stili architettonici del Paese. Costruito inizialmente per l’avvento dell’Esposizione Internazionale (1926), è stato successivamente trasformato in un luogo di divertimento. Un mini-paese-borgo, che riunisce botteghe artigiane, ristoranti, locali, e mostre d’arte.
 
Edifici del Pueblo Espanol



Il Pueblo vale sicuramente una visita, anche se un po’ “finto”, da la possibilità di ammirare edifici che riproducono costruzioni di tutte le regioni spagnole.
 
scorcio nel Pueblo

Noi siamo rimasti folgorati dalle botteghe, in particolare dalla vetreria, in cui un abile artigiano modellava del vetro incandescente formando dei graziosi cavallucci colorati. Saremmo rimasti ore a guardarlo lavorare. Metteva una pallina di vetro fuso su un’asta a forma di lancia, la modellava a forma di cono, poi la intingeva in una vaschetta di colore e aggiungeva altro vetro fuso….Mentre l’impasto cominciava a colare, l’artista coi lunghi capelli legati dietro la nuca, lo riprendeva rapidamente con un paio di pinze. Un paio di gesti ed ecco formarsi le zampe, dei piccoli tocchi e si intravede la criniera e il musetto del cavallo. Dopo un paio di minuti la statuina è pronta, con la sua magnifica trasparenza attraversata da strisce di colore. Gli chiediamo quanti riesce a produrne e lui ci risponde centinaia al giorno. Fantastico. Questa esperienza vale già da sola il prezzo del biglietto.


Altra sorpresa è la mostra d’arte contemporanea, in cui non possiamo fare fotografie…ci sono opere di artisti famosi, da Picasso a Dalì, ma quello che mi colpisce di più sono le sculture…alcune di aspetto veramente inquietante: un grosso gigante dall’aria crudele che “esce” dal pavimento con fare minaccioso, un bambino calvo seminudo, un essere metà neonato metà maiale…. Quello che accomuna queste opere, almeno dal mio punto di vista, è una visione della realtà poco ottimista…ho trovato pochissimi messaggi di speranza, colore, allegria. Molto più spesso sfumature tetre, disperazione, violenza. Non ho avuto molto tempo per approfondire, ma ci sarebbe da capirne qualcosa in più, mi riprometto di pensarci appena tornata a casa…ma poi mi perdo nelle mille cose di ogni giorno…e torno a interrogarmi su queste forme d’arte solo ora mentre scrivo queste righe.

Ma nel mezzo del viaggio, sono ancora presa dai mille stimoli del Pueblo, installazioni colorate nell’area bambini, spazi per famiglie, un’ampia piazza piena di ristoranti ancora chiusi…Finiamo il giro e, lasciandoci alle spalle la miscellanea di edifici, riscendiamo verso la piazza di partenza.
 
ancora il Pueblo


il Caixa Forum by day

Un momento per una foto al Caixa Forum illuminato dalla luce del giorno…e riprendiamo la metro per raggiungere di nuovo il mercato della Bouquerìa. Abbiamo iniziato lì con il pranzo, e terminiamo con un altro pranzo, in allegria, davanti a un piatto di carciofi fritti cosparsi di bianchi granelli di sale grosso. E’ divertente mangiucchiare in mezzo a tutto quel caos, brindare con una “copa” di vino bianco, e godersi un piatto di pesce freschissimo appollaiati sullo sgabello di legno.

Sì, questo viaggio è andato proprio bene, ci ho messo un secolo per convincere M., ma ne è valsa la pena. Tornerò a casa nostalgica e soddisfatta, con la voglia di tornare di tanto in tanto a scoprire un altro angolo di questa bella città. E anche voi, se avete apprezzato le foto (o magari il racconto, perché no?) …fateci un pensierino… non è lontano, non costa molto…e la spina si “stacca” che è una meraviglia. Enjoy.

Barcellona - giorno 3

(data originale post:25/02/2009)

La terza giornata in giro per Barcellona inizia con la visita della Sagrada Familia, chiesa\cantiere dalle forme straordinarie, capolavoro e simbolo architettonico del modernismo catalano.

La chiesa-cantiere

Neogotica fuori, con le sue torri che sembrano castelli di sabbia, le sue figure allegoriche, le scene della vita di Cristo, gli animali e le altre forme della natura, dentro sembra di nuovo un paesaggio del futuro. Le colonne sono alberi di un bosco spaziale, le balconate ricordano di nuovo scene di un film di fantascienza, le vetrate multicolori portano armonia in un bianco che quasi intimorisce. Le impalcature altissime danno solo una vaga idea della mole di lavoro necessaria per ultimare la costruzione…qualche piccione solitario attraversa l’enorme navata, fermandosi ai margini di questo affascinante bosco di pietra.

particolare


Le colonne-albero

Restiamo a lungo, affascinati da questo posto incantato e mistico, osservando allo stesso tempo la costruzione e il cantiere…poi raggiungiamo il museo, per conoscere altri aspetti della vita di Gaudì e delle sue opere più importanti. Tutti i musei che abbiamo visitato sono davvero ben fatti, ben illuminati, ben allestiti, con ottimi supporti audiovisivi, ologrammi, proiezioni, modellini che si possono toccare e cartelli esplicativi multilingue e bagni facilmente accessibili (sembra superfluo, ma per un turista lo trovo un elemento fondamentale).

Fuori dalla chiesa, ci fermiamo ad osservare i particolari che ci erano sfuggiti, i simboli, le statue, come se non bastasse la macchina fotografica e vorremmo imprimere le immagini anche nella nostra mente, per ricordarle nei minimi dettagli. Gironzoliamo tra le bancarelle natalizie del quartiere, poi torniamo indietro con la metro, fino alla collina di Montjuic. Se doveste decidere di visitare questo posto, vi sconsiglio di fare come noi, che siamo arrivati con la teleferica, perché sarà sicuramente più utile e bella la salita da Plaza de Espanya. In ogni caso, da turisti ignari, siamo arrivati in un punto piuttosto spoglio. Un giardino di sculture, il museo di Mirò, che decidiamo di saltare per questa volta, e un parco abbastanza deserto…che ci delude un po’, dato che il cielo comincia a diventare biancastro e l’umidità a farsi sentire…Ci fermiamo per pranzo in un ristorante dal nome curioso “la Font del Gat”, che prende spunto da una fontanella con sembianze feline. Fa freddino, quindi accogliamo con sollievo l’antipasto a base di affettati locali e il vino rosso, che ci ridanno calore ed energia.

insegna del ristorante "la Font del Gat"

Dopo la pausa nel ristorante, ci rimettiamo in cammino. Il cielo biancastro è scomparso ed è tornato il sole. Decidiamo di non darci una meta e di limitarci a seguire la strada principale. Ci ritroviamo a lato dell’imponente Palau Nacional, sede del Museo Nazionale d’Arte Catalana….non ci addentriamo nella visita, questa volta, forse un po’ saturi per tutte le novità che abbiamo visto in questi giorni, ci limitiamo a goderci il sole e un caffè seduti sulla scalinata di fronte al palazzo. Anche da qui la vista è spettacolare. Si vedono da lontano le colline, in basso la città e proprio davanti Plaza de Espanya e la Fontana Magica, spenta durante il giorno, accesa la sera per uno spettacolo di suoni e luci. Decidiamo di aspettare, anche se presto, abbiamo mille risorse con cui passare il tempo. Prima di tutto sulla scalinata si sta proprio bene. Un chitarrista di origine orientale, accompagna il nostro relax con la sua piacevolissima esibizione. Di nuovo la musica che fa da cornice al paesaggio, come al Parc Guell, e il ricordo senza quella melodia sicuramente non sarebbe lo stesso…

Plaza de Espanya vista da Montjuic


Queste statue si godono un'ottima vista


Palau Nacional

Freddo, sole, musica…Resterei lì chissà quanto, ma nel frattempo la mia attenzione è stata attratta da un manifesto che pubblicizza una mostra gratuita dedicata ad Alfons Mucha, pittore e scultore ceco. Ecco, di nuovo, le coincidenze.
Qualche tempo fa avevo scoperto questo autore sul web, mentre cercavo immagini da inserire sul blog. Avevo trovato decine di quadri…che ritraggono principalmente figure femminili nel tipico stile Art Nouveau. Ero rimasta affascinata e mi ero ripromessa, in un futuro viaggio a Praga, di visitare il museo a lui dedicato. Poi a Praga, per un motivo o per un altro, non ci sono più andata….e il mio proposito è rimasto nel cassetto. E adesso, qui, in una città lontana da casa, ma anche da Praga…ritrovo uno dei miei pittori preferiti, e non posso lasciarmelo scappare.

il mio quadro preferito di A. Mucha

La mostra è organizzata presso il Caixa Forum, Museo d’Arte Contemporanea, situato nelle vicinanze del Montjuic. Si tratta di un’ex fabbrica tessile, costruita ai primi del 1900 secondo gli schemi del modernismo, divenuta successivamente un magazzino, e ancora una scuderia del Corpo di Polizia Nazionale. Nel 1963 l’edificio fu acquistato da un importante ente finanziario di Barcellona, la Caixa, e ristrutturato per farlo diventare un importante centro socioculturale.

Caixa Forum, particolare

L’edificio da solo vale già una visita. Antico e moderno si fondono in perfetta armonia, marmo e mattoni, scale mobili e strane guglie…non era previsto nella visita e invece siamo rimasti davvero affascinati. La mostra di Mucha, interessantissima e – cosa assai gradita – completamente gratuita.
Siamo rimasti per un paio d’ore, in attesa del tramonto, passando il tempo rimasto davanti ad una tazza di tè aromatizzato nella caffetteria del museo.

Quando si fa buio, torniamo indietro verso il Palau Nacional. Sta per iniziare lo spettacolo della Fontana Magica. La gradinata stavolta è piena di gente, arrivata per prendersi il posto migliore. Sullo sfondo, le luci della città, in lontananza una chiesa che sembra d’oro per quanto splende rispetto a tutto il resto.

Panorama serale


Palazzo illuminato (un po' sfocato...ma così bello!!!)

Mi metto un cappuccio di lana per proteggermi dall’umidità….chiacchieriamo per passare il tempo, e finalmente, puntuale come un orologio svizzero, la fontana si accende. Certe esperienze sono troppo difficili da descrivere. La fontana è rotonda, con tanti getti che possono spruzzare acqua in modo differente, combinandosi in forme e disegni inconsueti, il tutto a ritmo di musica. Ogni figura della fontana è accompagnata da fasci di luce colorata, di diverse intensità e sfumature… l’effetto è davvero sorprendente e ipnotico…Ci incanta come bambini davanti alle giostre.

La fontana magica


Il primo spettacolo si svolge sulle note di famosi pezzi classici…il crescendo delle note accompagnato dall’aumento dei getti d’acqua, i colori che cambiano dal celeste al rosa tenue al rosso scarlatto…faccio qualche foto, poi mi fermo incantata a godermi lo spettacolo. Dopo il classico finale trionfante, la fontana, muta, resta a brillare dei suoi mille colori. Ci fermiamo a fare qualche altra foto ricordo, sappiamo che tra poco inizierà il “secondo round”, sono previste tre ripetizioni a sera, e lì per lì, pensando che sia inutile restare al freddo a guardare tutto da capo, cominciamo ad avviarci verso la piazza, utilizzando le pratiche scale mobili discretamente nascoste ai lati della collina…Stiamo già pensando ad un posto caldo dove rifugiarci per la cena, mentre nuove note si diffondono nell’aria della sera. Niente classica, stavolta, ma un ottimo repertorio di pezzi pop-rock di grande effetto. Queen, Annie Lennox, la fontana “cambia faccia” e non possiamo fare a meno di fermarci di nuovo a bocca aperta per altri venti minuti di quel piccolo-grande incanto. Non siamo i soli. La gente è aumentata sulle gradinate, noi la vediamo da lontano su un ponte. Macchine ferme ai lati della strada con le 4 frecce accese, nessuno può perdersi questo singolare show. Stavolta il finale è – forse un po’ scontato, ma senz’altro d’effetto - sulle note di “Barcelona”, cantata da Freddy Mercury e Monserrat Caballé. Questa seconda parte è ancora più bella della prima.

La fontana, il bis


Ce ne andiamo tutti soddisfatti e concludiamo la serata in un bar de tapas con qualcosa di tipico: pane al pomodoro (corrispondente morbido della nostra bruschetta), pulpo a la gallega (che ha l’aria troppo surgelata per essere buono), e crema catalana, ricoperta dal suo croccante strato di zucchero caramellato. La cena non è un granché…forse il posto è troppo turistico, ma la gustiamo allegramente e soddisfatti chiacchierando di tutte le novità che abbiamo visto in questi giorni. Domani ci aspettano le valige…ma Vale ha pianificato la partenza prenotando un volo pomeridiano, per avere ancora mezza giornata a disposizione…e godersi un altro pezzetto di questa bellissima città.