domenica 27 luglio 2014

Torino parte 3 - natura e cultura

Dopo un buon sonno ristoratore (il nostro hotel ha diverse cose che non vanno, ma il letto è comodo e si dorme piuttosto bene) ci prepariamo per la colazione e per una bella camminata approfittando del sole che dovrebbe durare almeno fino a metà giornata.

Chi mi ha consigliato questo albergo mi aveva parlato di una prima colazione abbondante e gustosa…ma qualcosa deve essere cambiato negli ultimi anni (forse la gestione), e il nostro impatto con la sala ristoro non è stato all’altezza delle aspettative: tovaglie con macchie di caffè vecchie di mesi, scarso assortimento di cose da mangiare, addirittura merendine confezionate tagliate a pezzi per risparmiare…(tutto mi aspettavo, tranne i flauti del Mulino Bianco divisi a metà), cornetti scongelati e gommosi, yogurt di marca improbabile, l’unica cosa che mangio davvero volentieri è la macedonia di frutta fresca. Non sono una che si ingozza a colazione (come fanno spudoratamente i nostri vicini di tavolo, che ne approfittano anche per confezionarsi di nascosto i panini del pranzo), mangio poco, ma mi piace mangiare bene. Se aggiungo alla triste offerta di cibarie anche un pessimo caffè servito da una cameriera dalle unghie con lo smalto scheggiato che sbadiglia incessantemente davanti ai clienti, direi che il quadretto è completo.

Ci ripromettiamo di fare colazione altrove nei giorni seguenti (anche se M., più paziente, propone la strategia alternativa del pane e marmellata che “tanto male non può essere…”).
A pancia piena ma non proprio soddisfatti, prendiamo l’angusto ascensore e ci mettiamo in cammino: la prima meta della giornata è il Parco del Valentino. Costeggiamo un pezzo di fiume, attraversiamo un lungo viale alberato e in dieci minuti ci troviamo all’ingresso del parco. Camminare in mezzo al verde è sempre piacevole. A differenza di quelle dei parchi più importanti della mia città, le strade all’interno di questa oasi verde torinese sono asfaltate. Da un lato si perde un po’ del fascino bucolico del viale sterrato, dall’altro si cammina molto meglio, e il percorso risulta accessibile anche ai disabili in carrozzina, ai passeggini e a chiunque abbia difficoltà a spostarsi a piedi e debba utilizzare altri supporti. Di macchine non ce ne sono. Il parco è quasi tutto per noi, incontriamo qualcuno che fa jogging, altre persone che si allenano facendo stretching sul prato e una signora anziana che ci sfreccia accanto sulla sua carrozzella a motore.

Lungo la strada semideserta troviamo, però, degli altri amici, una delle cose più belle della nostra visita al parco: gli scoiattoli. Un collega che aveva già visitato la città mi aveva detto che nella zona era possibile incontrare questi saltellanti e simpatici animaletti, ma mi aspettavo di avvistarli in lontananza e non che fossero così socievoli. Abituati a ricevere cibo dai visitatori, i piccoli roditori si sono abituati ad accogliere gli amici umani e a chiedere da mangiare a chiunque si sieda ai tavoli dei chioschi disseminati sui viali. Sono decisamente sfacciati (salgono sulle sedie libere e a volte persino sul tavolo), ma irresistibilmente carini (è proprio vero che la bellezza, in certe circostanze, aiuta!) e le loro incursioni sono gradite da tutti. Restiamo parecchio tempo incantati a guardare le loro scorribande e a inseguire con lo sguardo le loro code che sembrano gonfiate con un phon da parrucchiere. Rallegrati da questo “incontro ravvicinato”, continuiamo il cammino. Arriviamo al bellissimo Castello delValentino, un tempo residenza dei Savoia, oggi considerato dall’Unesco uno dei Patrimoni dell’Umanità e attuale sede della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.
 Cortile del Castello
 

Il Castello purtroppo non è visitabile: una parte è in restauro e il resto a quanto pare ospita gli studenti. Ci limitiamo ad ammirare il cortile, notando la somiglianza dell’edificio con le residenze nobiliari che abbiamo visto in Francia tempo prima, durante il nostro breve tour nella Valle della Loira (sono di qualche anno indietro con i miei resoconti, ho ancora qualche bel posto di cui parlarvi). Facciamo qualche foto, con un bel cielo azzurro sullo sfondo, e proseguiamo verso la prossima meta.

Il Borgo Medievale, ai margini del parco, potrebbe trarre in inganno il visitatore disinformato: non si tratta di un quartiere costruito nel 1200, ma di una ricostruzione storica “artificiale” che risale agli ultimi decenni dell’Ottocento. Creato per un’Esposizione Generale, il Borgo riproduce vie e costruzioni tipiche di un villaggio feudale, con le sue botteghe, la chiesa, le insegne in ferro battuto, la fontana, e termina con il pittoresco edificio della Rocca, ricostruzione di una dimora storica del Quattrocento, ispirata al modello architettonico e decorativo di alcuni castelli realmente esistenti in Piemonte.

Ingresso del Borgo Medievale
 
Edifici del Borgo
 
 
 
Interno della Rocca con ricostruzione storica delle sale
All’ora di pranzo torniamo verso il centro e mangiamo in un bistrot-enoteca su Via Po. Piatti semplici, ma non prendiamo nulla di tradizionale: anche oggi fa troppo caldo. Continuiamo la passeggiata con qualche incursione nei negozi e mi concedo un pomeriggio di chiacchiere e amicizia: a Torino abita una delle mie “amiche di forum” che conosco “leggendola” da parecchi anni. Ci tenevo particolarmente a incontrarla “dal vivo”, perché a volte dalle parole scritte si impara tanto di una persona e ci sembra di conoscerla da sempre. Non vi racconto i dettagli dell’incontro, che con l’aspetto turistico c’entra poco, vi dirò solo che è stato bellissimo e speciale esattamente come mi aspettavo. Oltre alle chiacchiere di rito che sarebbero volentieri continuate a oltranza per tutte e due, la mia amica ci ha accompagnato alla scoperta di altre viuzze meno note del centro, di piccole botteghe, di altre piazze e ci ha dato qualche altro riferimento utile per la nostra esplorazione della città.

Il resto del pomeriggio è stato dedicato alle sale del Museo Egizio, interessanti, anche se una parte del palazzo è in restauro (i lavori dovrebbero terminare per i primi mesi del 2015), i reperti sono molti e ben conservati. La sala più interessante e assolutamente da non perdere è quella dello “Statuario”, allestita addirittura da uno scenografo vincitore di un premio Oscar (l’ho scoperto al ritorno, consultando il sito del museo). L’effetto è sicuramente spettacolare: le statue illuminate strategicamente, per risaltare in tutto il loro splendore, incantano e stupiscono i visitatori. Purtroppo le foto fatte senza flash non rendono giustizia alla bellezza dell’ambiente e dei suoi “abitanti di pietra” che hanno sfidato il tempo per arrivare fino a noi, affascinanti e misteriose, perfettamente conservate.
 
 

L’unico aspetto che mi ha un po’ intristito in questi casi, è sapere che tutti questi meravigliosi reperti sono stati prelevati, alla fin fine, da monumenti funebri. Quando vedo le mummie, esposte allo scoperto dietro a un vetro, con la gente che ci gira attorno incuriosita additando i dettagli “ben conservati”, penso sempre, con un velo di tristezza, che quei poveri corpi erano stati destinati al riposo eterno in un luogo sacro, e che il fatto di prenderli, spostarli, spogliarli dei loro ornamenti, studiarli ed esporli pubblicamente per me resta una forma di profanazione. Io non sono religiosa, so che a “loro” ormai non importa più…però ogni volta che capito in un museo che espone resti umani e oggetti prelevati da una tomba, mi assale lo stesso senso di malinconia, e mi chiedo se per interesse storico sia sempre giustificabile la violazione di uno spazio privato e intimo come un luogo funebre.

Ci allontaniamo dal silenzio e dall’atmosfera sospesa nel tempo del museo nel tardo pomeriggio. Il caldo-umido non si è attenuato per niente e, dopo tanto camminare, decidiamo di tornare in hotel per rinfrescarci un po’ prima della cena. Il pasto serale, stavolta, non ha nulla di tradizionale: esplorando una serie di traverse troviamo un allegro ristorante tex-mex e concludiamo la serata con un buon piatto di fajitas messicane. Del resto, non possiamo sempre fare i turisti precisetti: proveremo le altre specialità locali in un altro momento…e soprattutto, possibilmente, con un altro clima.

domenica 20 luglio 2014

Torino - parte 2 - la cena con sorpresa


Per la cena del nostro anniversario chiediamo un consiglio alla receptionist dell’hotel, sperando che al profitto che potrebbe ricavare da un ristorante convenzionato abbini anche il buon senso, per segnalarci almeno un posto carino dove passare la serata.
In genere mi piace trovare da sola i locali dove andare a mangiare, ma durante il nostro primo giro, nei dintorni abbiamo notato un gran numero di posti un po’ troppo turistici per i nostri gusti. Vorremmo mangiare qualcosa di tipico, ma trovare anche un po’ d’atmosfera, dato che è una serata speciale e festeggiare la data del matrimonio capita solo una volta l’anno.
La signora dietro la scrivania ha l’aria piuttosto snob, ma è gentile. Prende una cartina della città e ci suggerisce tre opzioni: il primo è il ristorante sotto l’hotel. Avevo adocchiato il menù già dal nostro arrivo, era sicuramente interessante e abbastanza creativo, ma non c’era traccia di ricette tradizionali. La seconda proposta è una trattoria che affaccia su Piazza Vittorio Emanuele, è segnalata su diverse guide come meta consigliata per assaggiare sapori del territorio, ma almeno dall’esterno ci convince più per un pasto informale che per una serata romantica. Così scegliamo di seguire il terzo consiglio e approfittiamo della gentile signora che prenota per noi al ristorante “La Smarrita”, in Piazza Carlo Alberto.
Una cosa che mi è piaciuta molto di Torino sono proprio le piazze. La struttura della città è molto regolare e perdersi è una vera impresa. All’incrocio di vie e vicoletti del centro, la maggior parte delle volte trovi una piazza elegante, con aiuole o aree pedonali, spesso con una statua nel centro. Tante piccole e grandi oasi dove fare una pausa dal viavai dei portici, magari sedendosi al tavolino di bar per un caffè, oppure all’ora dell’aperitivo, come abbiamo fatto noi, con uno spritz e un piattino di snack , a godersi la luce delle sere primaverili, guardando le rondini in volo, i dettagli dei palazzi circostanti, o semplicemente a chiacchierare ingannando il tempo prima della cena.

Aperitivo in piazza
 
Palazzo Carignano
 
Il ristorante vero e proprio si è rivelato un po’ diverso da come ce lo aspettavamo, sicuramente differente dal tipo di locali che sceglierei o consiglierei per una cena, ma in ogni caso la serata per noi è stata un’esperienza originale. All’ingresso ci ha accolto una signorina gentilissima: potevamo scegliere se mangiare fuori, ai tavoli sulla via, oppure all’interno del palazzo (un palazzo d’epoca, per la precisione). Vedendoci un po’ titubanti, la ragazza ci ha proposto una visita alle sale per decidere dove assegnarci il tavolo. Al piano superiore abbiamo altre due opzioni: una sala più sobria con vista sulla piazza e una fastosissima con stucchi dorati e aria condizionata al massimo. La sala più elegante, detta anche “degli specchi” sembra una location per matrimoni, ma di quei matrimoni fastosi che non ci piacciono. In realtà il palazzo conserva intatto un pezzo della storia d’Italia: queste sale hanno ospitato lo studio di Cavour, e conservano intatte (anche se un po’ trascurate) il fascino antico e il fasto di una volta.
Di fronte alla sala barocca e deserta, opteremmo volentieri per una più sobria vista della piazza e del tramonto su Palazzo Carignano e dintorni. Il problema, però, è il caldo eccezionale, che ci costringe, nostro malgrado, a dirottare il nostro gentilissimo cameriere nell’ambiente più “nuziale”, ma refrigerato e quindi più vivibile.
Così ci ritroviamo, io e M., da soli in questo fresco salone storico agghindato a festa, coi tavoli tondi imbanditi e le sedie coi fantasmini. Ci sembra di essere a una cena di matrimonio senza sposi né invitati…e non sappiamo se restare interdetti o scoppiare a ridere. Per fortuna ci viene in soccorso di nuovo il cameriere, che si rivela meno formale dell’ambiente, forse cogliendo una minima vena di imbarazzo o capendo che ci sentiamo un po’ fuori luogo…o soprattutto fuori dal luogo in cui pensavamo di andare a mangiare per il nostro anniversario. Non ho problemi con gli ambienti eleganti, ma questa eleganza retrò la trovo un po’ stucchevole. In una sala vuota, poi diventa tutto quasi imbarazzante.
Per fortuna il cameriere che ci è stato assegnato non è solo gentile ma anche simpatico, forse ci ha visti un po’ smarriti, e si ferma a parlare un po’ con noi per metterci a nostro agio, ci da qualche alternativa sul menù, che ci sembra appetitoso ma terribilmente invernale, e ci suggerisce un vino del territorio per accompagnare il pasto. La cena è buona, di tipico assaggio gli agnolotti al sugo di arrosto, mentre M. opta per i tradizionali tajarìn, tagliolini all’uovo dall’aspetto invitante, conditi con ragù bianco di salsiccia. Entrambi i piatti sono buoni ma decisamente inadatti alla stagione. Durante questo weekend lungo ci rendiamo conto che quasi nessuna delle ricette più famose del territorio torinese è consigliabile come piatto estivo…e un po’ mi dispiace perché ci sono tante cose ottime da assaggiare, ma non quando il termometro supera i 30 gradi e l’umidità aumenta a dismisura il livello della temperatura percepita.
Usciamo dal ristorante comunque soddisfatti. E’ stata un’esperienza un po’ surreale cenare da soli in una specie di museo, ma la cena era gradevole, il vino e la nostra ironia hanno contribuito a farla diventare anche divertente.
Al ritorno, prima di tornare in hotel, facciamo una passeggiata e ci affacciamo sulla riva del Po, dove troviamo una bella sorpresa: un concerto live di una brass band locale che reinterpreta pezzi più e meno recenti del panorama pop internazionale. Bravissimi e pieni di energia. Mettono voglia di ballare, ma gli spettatori sono tutti fin troppo disciplinati e si limitano ad ascoltare senza “agitarsi” più di tanto. Peccato: da sola non ho abbastanza faccia tosta per buttarmi nelle danze…in quel momento, per un po’, mi sono mancate le amiche danzatrici…con loro avremmo sicuramente animato la serata e con buone probabilità saremmo riuscite a coinvolgere anche il resto del pubblico più “timido”. Mi rassegno ad ascoltare, ed è comunque un ascolto davvero piacevole, con uno scenario diverso dal solito. Sull’altra riva, si scorge in alto a sinistra la Basilica di Superga illuminata e, sopra le colline, la luna, tonda e luminosa, così bella che sembrava prenotata apposta per l’occasione.
Il nostro primo giorno a Torino si conclude qui. La sveglia all’alba comincia a farsi sentire, così rientriamo in hotel, dove ci aspetta un letto comodo e soprattutto l’aria condizionata, preziosa e utile per affrontare il caldo della notte.
Per la mattina seguente, visto che il tempo dovrebbe cambiare a breve verso il brutto, decidiamo di iniziare la giornata con la visita al più importante parco cittadino.

domenica 6 luglio 2014

Due passi per Torino


Arrivati in hotel alle 14 la prima sorpresa: la stanza non è pronta. Fuori è caldissimo e il sole del primo pomeriggio non promette nulla di buono, ma non ci perdiamo d’animo. Lasciamo le valige in un angolo (no, non c’è un deposito bagagli) e ce ne andiamo a spasso, alla faccia della sveglia alle 4.
L’hotel è situato in una zona abbastanza strategica: una traversa di Piazza Vittorio Veneto, nel cuore della città. La guida afferma che questa piazza sia una delle più grandi d’Europa. Da un lato si affaccia direttamente sul fiume, terminando col Ponte dedicato a Vittorio Emanuele I, dall’altro dà inizio (o fine) ai portici di Via Po, una delle più famose strade del centro.
La piazza è sempre vivace e affollata a tutte le ore, anche grazie ai numerosi locali che costeggiano tutto il suo grande rettangolo di sampietrini e asfalto. Ce ne sono per tutti i gusti: ristoranti tipici dall’atmosfera retrò, pizzerie ultramoderne, bar dall’aria ottocentesca, pub che propongono improbabili “devastation night” a suon di alcoolici a basso prezzo, ristopub per l’apericena (Dio, quanto odio questa parola!), e gelaterie artigianali e non. L’imbarazzo della scelta, insomma, a portata di (più o meno) tutte le tasche.
Via Po è un lungo viale che attraversa gran parte del centro. Percorreremo i suoi marciapiedi e ci ripareremo all’ombra (e all’asciutto) dei suoi ampi portici per tutto il nostro soggiorno in città. Decidiamo di iniziare la visita proprio facendo un po’ di “struscio”, guardando le vetrine dei negozi (ancora chiusi per la pausa pranzo) e cerchiamo un posto dove mangiare qualcosa di fresco per non soccombere al caldo tropicale che ci ha colti di sorpresa. Non ce lo aspettavamo: le previsioni non promettevano nulla di buono, soprattutto, una volta prenotato il viaggio, “il Meteo” ha pensato bene di disegnare tutta una serie di tuoni e fulmini in corrispondenza di ogni singolo giorno della nostra permanenza in città. Per fortuna ha sbagliato, in anticipo di qualche giorno e invece della tempesta perfetta abbiamo trovato tre giorni abbondanti di un diabolico mix sole-foschia-umido. La scelta anti-liquefazione è stata quella di rifugiarci per qualche ora in un posto al chiuso, così abbiamo spostato la visita della Mole Antonelliana in cima alle nostre priorità.
Sbocconcelliamo un’insalata in un bar vicino alla Mole. A quanto pare è una zona frequentata soprattutto da studenti universitari, se mi guardo attorno siamo io e M. ad alzare nettamente l’età media dei clienti  seduti ai tavoli. Mi resta impressa una ragazza accanto a noi che, sollevandosi il vestito con disinvoltura, si scrive formule e numeri utili per l’esame direttamente a penna sulle cosce creando un tatuaggio temporaneo con una creatività fuori dal comune …i bigliettini nascosti ormai sono del tutto superati. 

Terminato il pranzo in mezzo alle matricole, ci dirigiamo verso il fresco sintetico della Mole.

E’ una bella esperienza, e non solo perché tiriamo un sospiro di sollievo riuscendo a ripararci dal caldo. L’interno della Mole ospita il Museo del Cinema, una struttura post-moderna dalla scenografia sicuramente d’effetto. Non è semplice da descrivere: il centro dell’edificio è attraversato in verticale dall’impianto dell’ascensore che arriva fino alla balaustra della cupola. La cabina è in vetro, così chi decide di salire può godersi la vista del museo dall’alto. La mostra vera e propria è divisa in due parti: quella più interessante è sicuramente quella dedicata a tutto il percorso storico che ha portato alla nascita del cinema. Dalle lanterne magiche alle scatole ottiche, dai primi visori tridimensionali ai primi cartoni animati, il percorso pre-cinema consente un interessantissimo tuffo nel passato, scoprendo e riscoprendo apparecchi che oggi appaiono allo stesso tempo semplici e sorprendenti, e dando al visitatore la possibilità di testarne direttamente il funzionamento…si torna un po’ bambini facendo scorrere le immagini, o sorprendendosi davanti a una cartolina che si illumina cambiando il paesaggio dal giorno alla notte. La coincidenza più sorprendente, per me che sono appassionata di danza orientale, è stata trovare un vecchio video di Loie Fuller che volteggia circondata dai suoi veli colorati…sono video reperibili anche su Youtube, li avevo già visti qualche tempo fa, ma ritrovarli su un vecchio visore d’epoca mi ha fatto un certo effetto e sono uscita dalla sala con un sorriso di soddisfazione in più.


La zona dedicata al cinema “moderno” punta molto di più sulla scenografia della grande sala da cui si dipartono le altre stanzette tematiche. La sala centrale, oltre alla colonna dell’ascensore, è dominata dalla statua color oro di un dio-mostro alato. Si tratta, e non lo sapevo, del dio Moloch, apparso nel film “Cabiria”. Si vede proprio che non sono una cinefila: non ne sapevo nulla, ma, noto o meno, sicuramente l’imponente mostricciattolo alato fa la sua bella e inquietante figura(*). Su una vasta area della sala sono disposte numerose chaises-loungues che permettono ai visitatori sia di assistere alla proiezione di vecchi film d’autore sui due schermi ai lati della sala, sia di godersi la proiezione di stelle e pianeti che a intervalli regolari appaiono sulla parte interna della cupola.

La sala centrale del Museo

 
Le salette secondarie sono, in effetti, un po’ deludenti e un po’ troppo “bambinesche” per i nostri gusti…la sala horror con la bara in vista, la sala western con il finto saloon, la sala surrealista disseminata di water…ci hanno lasciati un po’ perplessi. L’unica cosa che ha attirato la nostra attenzione è stata una piccola tv che trasmetteva in loop spezzoni di vecchi film horror. Io non sono un’amante del genere, anzi, ma è stato interessante vedere come, nel corso degli anni, il concetto di ciò che è spaventoso sia cambiato e continui a mutare verso lo splatter. I primi film degli anni Trenta oggi ci fanno sorridere, ma anche quelli degli anni ’70, non così lontani, sembrano dilettanteschi se si paragonano agli effetti speciali di oggi…eppure all’epoca hanno spaventato generazioni di spettatori ed erano considerati capolavori del genere.

Il resto dell’esposizione era dedicato a una mostra sulle vincitrici del premio Oscar nel corso degli anni. C’erano abiti di scena (non mi interesso particolarmente di moda, ma gli splendidi abiti di Valentino spiccano sempre su tutti gli altri), foto e filmati, distribuiti sulle balaustre che fiancheggiano risalendo i lati della cupola. Nulla di speciale, ma sempre di storia del cinema si tratta: alcuni video in lingua originale erano molto interessanti e invogliavano a riscoprire vecchi film che i miei gusti non avrebbero mai preso in considerazione.

Nel complesso la visita vale senz’altro la pena, forse un po’ meno per i veri appassionati di cinema, che se resteranno un po’ scontenti per gli allestimenti a tema, potranno comunque gustarsi la grande sala centrale e la salita sulla terrazza della mole, da cui si gode una bellissima vista sulla città (anche sui monti circostanti, quando non c’è foschia..).
 
Ci dissetiamo al bar del museo prima di rituffarci in una nuova immersione nel caldo tropicale. Ancora portici, e ancora viali pieni di negozi. Le strade del centro risentono molto (come dappertutto) dell’invasione delle grandi catene di negozi nazionali e internazionali. Difficile trovare qualcosa di tipico tra un Calzedonia e un H&M…soprattutto di tipico e contemporaneamente estivo: ci sono allettanti ed eleganti cioccolaterie, con le antiche vetrine incorniciate in legno, ma, visto il clima, fare una sosta per un classico “bicerìn” (bevanda locale al cioccolato e caffè) non ci tenta per niente.
Passeggiamo, e ogni tanto veniamo catturati da uno scorcio, da un cortile o da una galleria, come quella Subalpina, vicino Piazza Castello, di ispirazione francese, in vetro e ferro battuto, dal fascino di una volta, un posto in cui il tempo sembra essersi fermato all’Ottocento, un’oasi in mezzo alla globalizzazione e all’appiattimento estetico degli esercizi commerciali disseminati ormai in ogni angolo della città.

La Galleria Subalpina
Attraversiamo un tratto di Via Roma, la zona con i negozi più eleganti e “firmati”, ma dopo tanto girare la stanchezza prende il sopravvento e decidiamo di tornare in hotel. Per la cena chiediamo consiglio alla reception. E’ una data importante e ci piacerebbe mangiare qualche buon piatto locale in un posto carino.
La risposta della receptionist e la nostra avventura gastronomica ve la racconto nel prossimo post.

(*) Per i più curiosi, ho scoperto che su Youtube esiste la versione integrale del film "Cabiria"...è un pezzo di storia del cinema, ho dato una breve occhiata ma io il Moloch non l'ho visto. Se avete tempo e pazienza (il film è muto e dura più di due ore) provate a cercarlo voi cliccando qui
 

 

 

Un weekend all'improvviso




Alcuni viaggi arrivano del tutto inaspettati.
Non sei tu a cercarli, sono loro che trovano te.

Ero lì al pc, in tempi non sospetti, e leggevo un articolo su un blog di cucina (qualcosa sull’ultimo locale di tendenza o sull’ennesima birra artigianale non pastorizzata), quando in alto al centro sulla pagina appare un banner con la pubblicità delle offerte di Italo sui treni da e verso le maggiori città italiane.

L’annuncio mirato sul web è una grande invenzione: sfrutta i tuoi punti deboli e ti colpisce al momento più opportuno: una proposta seducente che in qualsiasi altra situazione avresti del tutto ignorato arriva in un attimo di relax in cui, appena ti cade l’occhio su parole e foto, leggi e pensi “ma in fondo…perché no?”.

La ricerca di un treno per Torino l’avevo già fatta un po’ di tempo fa (e Google non perdona, se ne era ricordato): i prezzi erano interessanti, ma per tutta una serie di motivi mi sono limitata a leggere, prendere l’informazione e archiviarla in un cassetto mentale chiuso a chiave.

Poi, quel giorno di debolezza, a tradimento, il banner: “Roma-Torino, guarda le offerte!”…e io che meditavo già da qualche settimana di fuggire su un’isola deserta per un corroborante break anti-routine, mi sono detta che forse, visti i tempi (e i risparmi) che corrono avrei potuto trovare un buon surrogato per trascorrere un weekend di novità e allo stesso tempo festeggiare il mio anniversario in modo un po’ più economico di quello che avevo già scartato qualche giorno prima (un viaggio a Budapest, rinviato a data da destinarsi).

Così, se fino al giorno prima ero sicura di dover passare il 12 giugno alla semplice ricerca di un buon ristorante per la cena, eccomi lì a provare combinazioni di date e orari alla ricerca dell’accoppiata vincente.
La scelta è presa in breve tempo: partenza giovedì, rientro domenica, levataccia all’alba e ritorno a casa giusto giusto per vuotare le valige, mettere i panni sporchi in lavatrice e mangiucchiare qualcosa per cena.

Le offerte di Italo si sono rivelate convenienti e assolutamente competitive rispetto a quelle di Trenitalia. All’andata ho trovato due posti in prima classe, al prezzo della tariffa turistica, e al ritorno due posti “economici”, ma con poltrone “larghe come in prima”.

Per quanto riguarda l’hotel, ho accettato consigli di chi era già stato in città prima di me: ho cercato su Booking il nome dell’albergo che mi è stato suggerito e ho prenotato con formula b&b.

Il viaggio di andata è andato decisamente bene: treno puntuale, posti comodi, hostess che ogni ora passano a offrirti caffè (imbevibile, ma a volte basta il pensiero…e la seconda volta scegli un succo), biscottini (a forma di cuore, per l’occasione) e giornale (che non ho preso, perché avevo il mio fido libro di viaggio scelto in formato tascabile e con una trama apparentemente interessante).


Tutto è filato liscio, a parte il progetto di sonnecchiare durante la traversata, perché due ragazze appariscenti e un po’ attempate hanno deciso di allietare il loro viaggio guardandosi il concerto di Ligabue registrato qualche sera prima con il telefonino. Il tutto a volume  - ovviamente – da stadio e senza tener conto che si sarebbero gustate molto di più il loro idolo dal vivo e il lato spettacolare del concerto se non avessero buttato via la serata a fare riprese improbabili con cui molestare i compagni di treno.
Così, invece di rimediare almeno un paio d’ore di sonno, ho avuto un lungo assaggio del live all’Olimpico (più urla dei fans che musica, ovviamente)…fino a destinazione.

Il treno che parte da Roma Ostiense non arriva alla stazione centrale di Torino, ma a quella di Porta Susa.
Dal centro vero e proprio il percorso non è molto lungo, basta prendere l’autobus giusto. Noi però, a quanto pare, abbiamo sbagliato uscita, camminato per un po’, cercato invano dei biglietti, chiesto informazioni a un autista che ha fatto finta di non capire e ci ha fatto salire anche se sul bus non c’era nessuna macchinetta per i ticket, trovato un giornalaio sotto il sole cocente e, finalmente, dopo qualche fermata (meno di quelle previste, perché metà strada, tra una ricerca e l’altra, l’abbiamo fatta a piedi) siamo arrivati a destinazione. Da qui ha finalmente inizio la nostra visita della città.