sabato 9 agosto 2014

Torino - ultimo giorno - mercato e Palazzo Reale

Nonostante le pessime previsioni, anche il giorno seguente, almeno per metà giornata, il tempo resta dalla nostra parte e ci consente di girare per la città senza aprire l’ombrello.
 
Dopo una buona colazione al bar (ormai abbiamo rinunciato volentieri a quella dell’hotel) ci avviamo verso la zona di porta Palazzo. La mattina sarà dedicata alla visita dei mercati, sia quello fisso, sia quello settimanale del Balon.

Il mercato di Porta Palazzo è aperto tutti i giorni, ed è diviso per categorie merceologiche. Sulla sinistra si trovano i banchi dedicati al vestiario. Sono parecchi, ma l’assortimento è piuttosto scarso: si tratta quasi esclusivamente di capi d’abbigliamento e scarpe prodotti in Cina. I prezzi non sono esposti ma credo che non differiscono da quelli delle bancarelle disseminate anche nella mia città. L’altro lato della piazza è dedicato a casalinghi e accessori per la casa: tappetini, lenzuola, asciugamani.   

La parte coperta ospita il mercato alimentare…sicuramente interessante da visitare per la vastissima offerta di cibi provenienti da tutto il mondo. Per noi che veniamo da Roma, un mercato equivalente, in piccolo, può essere quello una volta ospitato in Piazza Vittorio e oggi trasferito in una struttura più moderna poco lontano. La nostra visita è interessante (e golosa), ma c’è troppa gente e poco spazio per muoversi, così decidiamo di spostarci all’esterno e visitare un edificio più moderno situato alle spalle del mercato, il Centro Palatino.

Progettato dal famoso  e ormai gettonatissimo architetto Fuksas al posto del vecchio mercato dell’abbigliamento, esteticamente questo palazzone di metallo e vetro non ci convince per niente. Anzi, la sua mole imponente e la sua modernità eccessiva stonano decisamente con il resto della piazza. Un classico effetto “pugno nell’occhio”. Difficilmente mi capita di apprezzare edifici moderni inseriti in contesti architettonici antichi, ma in questo caso, al di là dell’evidente dissonanza tra stili, dobbiamo ammettere che questo pseudo-centro commerciale (semi abbandonato all’interno) è proprio brutto senza attenuanti che possano giustificarne l’esistenza.  All’interno è semiabbandonato, la maggior parte dei negozi sono chiusi, gli altri sono sull’orlo del fallimento e hanno le vetrine mezze vuote. Sembra prosperare solo un negozio di abiti da cerimonia, tutto il resto appare trascurato e sembra che stia per chiudere i battenti.

Al centro dello spazio commerciale, uno scavo che mostra i resti di…che cosa non si sa, perché non è indicato da nessuna parte. Scoprirò solo più tardi che si tratta delle ghiacciaie che nell’Ottocento venivano utilizzate per la conservazione dei cibi.
 
Camminiamo ancora per spostarci nella zona del “Balon”, mercato delle pulci che si articola per alcune caratteristiche viuzze nei dintorni di Porta Palazzo. Personalmente non amo molto questo tipo di mercati…non apprezzo l’antiquariato, il vintage, né tantomeno la semplice “roba vecchia”, e di quest’ultima al Balon se ne trova a volontà e per tutti i gusti. Esposizioni simili di merce improbabile le ho viste solo nelle vie limitrofe del mercato di Porta Portese a Roma. Ogni volta mi chiedo se quell’accumulo di cose da buttare troverà un acquirente che le sappia apprezzare e sia disposto a spendere (invece che essere pagato) per portarle a casa. Ma è questione di gusti: ho amici e parenti che hanno un fiuto speciale per trovare oggetti interessanti anche in mezzo al ciarpame. E riescono a fare affari, o arredare la loro casa ripescando oggetti e suppellettili di una volta e integrandoli in modo armonioso all’arredamento di casa propria. Ma guardandomi attorno non vedo proprio nulla che mi piaccia…se non le palazzine della zona, semplici e a due piani, sembra di camminare in un paesino all’interno della città.

Continuiamo la passeggiata tornando verso il centro. Attraversiamo la zona pedonale di Via Garibaldi, mentre il caldo comincia a farsi sempre più intenso. Approfittiamo di un passaggio refrigerato in libreria (dove trattengo a stento la mia pulsione all’acquisto compulsivo di favolosi volumi in offerta con il 50% di sconto)  e ci dirigiamo verso Piazza Castello. Attraversiamo la grande piazza antistante il Palazzo Reale e approfittiamo della visita per sfuggire alla canicola di mezzogiorno. Il biglietto ha prezzi differenziati, secondo gli ambienti e le esposizioni che si desiderano visitare. Una parte del palazzo è in restauro, ma gran parte delle sale sono aperte al pubblico. Scegliamo l’opzione che comprende parte del primo piano, l’armeria reale e il Museo Archeologico
Le sale di Rappresentanza, come in ogni buon palazzo reale che si rispetti, sono decoratissime, ricchissime, e denotano ostentazione fin nell’angolo più inaccessibile. Ma è normale. Negli ultimi anni ho visitato tanti castelli in giro per l’Europa, e devo ammettere che dopo lo stupore iniziale, dopo aver notato la differenza tra uno stile e l’altro, una sala “da ricchi” deve essere davvero molto particolare per attrarre a lungo la mia attenzione. Perché nei palazzi dell’epoca trovi spesso, da routine, gli stessi particolari un po’ stucchevoli: vasi cinesi dal valore inestimabile, lampadari che ti ricordano all’istante quanto dev’essere faticoso spolverarli, pavimenti schricchiolanti e tirati a lucido spesso ricoperti da passatoie per impedirne il logoramento, sedili improbabili in tessuti pregiati, ritratti di nobili in parrucca che nessuno ormai si ferma ad osservare (perché in fondo sono belli e fatti bene, ma un po’ tutti uguali), soffitti decoratissimi con allegorie che nessun visitatore medio è in grado di comprendere senza una buona e volenterosa guida che gli ricordi i miti del passato.

La sala da ballo del Palazzo Reale

Decorazione sui muri della sala da ballo
 
Il palazzo è decisamente bello e “come da copione”. Mi è rimasta particolarmente impressa la Sala da Ballo, con le decorazioni che ho tentato di fotografare senza flash (e che vedete in foto un po’ sfocate), per qualche istante mi sono soffermata a immaginare una serata di gala, le luci, gli abiti, la musica…è sicuramente un ambiente un po’ magico che è riuscito a catturarmi per un po’.

Altro ambiente da non perdere, anche se per me un po’ inquietante, l’Armeria Reale. Per me che detesto gli animali imbalsamati, trovarmi davanti tutti quei cavalli in perfetta tenuta da combattimento mi ha lasciata un po’ spiazzata. Ma sicuramente la sala è d’effetto. Uno degli scenari più interessanti del palazzo.
 
L'armeria reale
Anche la raccolta di armi è stata notevole persino per me, che detesto la guerra. Alcuni di questi terribili strumenti di morte sono vere e proprie opere d’arte, con intarsi, decori, pietre preziose, manici dai materiali più improbabili (una katana giapponese con fodero in pelle di razza)…mi stupisco sempre di più del modo in cui in ogni epoca siano stati spesi tanti soldi e tanta abilità per produrre oggetti destinati, sia pure per difesa, a uccidere qualcuno.

I giardini del Palazzo sono in restauro. Da mesi? No, da anni, e da quanto si riesce a vedere dai finestroni che si affacciano sul parco, i lavori non hanno nessuna intenzione di terminare a breve. L’aspetto è decisamente incolto e poco invitante. Peccato.

Usciti dal palazzo decidiamo di conservare i nostri biglietti e di continuare la visita dopo la pausa pranzo, che trascorriamo in una piazzetta dei dintorni. Scegliamo un locale con tavoli fuori, abbastanza affollato. Ci convince il fatto cha le persone sedute gomito a gomito sulle sedie in legno siano in prevalenza “locali”, e tutti mangino di gusto. Assaggiamo le alici in saor, una terrina di melanzane e della pasta al pesto e ricotta molto delicata e gustosa, innaffiando il tutto con un bicchiere di vino bianco Arneis. La sosta è gradevole, il cibo buono, l’unico neo è il trombettista itinerante che dovrebbe allietare i presenti con le sue prodezze musicali e invece si rivela più molesto e rumoroso del previsto.

Resisto al gelato (che mi chiama dalla vetrina di un negozietto dall’altro lato della piazza) e decidiamo di continuare la visita con la parte archeologica del museo. Una parte delle esposizioni è chiusa, ma noi possiamo accedere alla zona dove sono conservati i reperti più antichi. Il vantaggio principale di questa visita è la possibilità di fuggire nuovamente dal caldo afoso del dopopranzo. Di interessante, però, non c’è molto, perché come nella maggior parte delle esposizioni di oggetti antichi ci sono soprattutto quelli che io chiamo “i cocci”. Vetrine e vetrine di resti di antichi manufatti…per carità, preziosi e interessanti, ma quando si vive in una città dove questi oggetti abbondano in ogni angolo e i musei sono pieni di pezzetti di vasi, bottigliette, vetri lavorati, anfore, pettini, specchi ossidati e chi più ne ha più ne metta, dopo un po’ certe suppellettili, per quanto importanti, non fanno più effetto, anzi diventano semplici “cocci” e mi annoiano.
 
Tra l’altro una parte dell’esposizione è ospitata in una vecchia serra, un luogo sicuramente suggestivo e ottimo per la luce, ma senza aria condizionata di nessun tipo…una tortura quando la temperatura esterna supera i valori tollerabili. Così ai due impiegati gentilissimi che scherzano sulla nostra “visita-lampo”, spiego con un bel sorriso la situazione (sui cocci) e ce ne andiamo dopo pochi minuti gettando solo qualche rapida occhiata qua e là.

Il pomeriggio lo dedichiamo al relax…e la sera piove. Approfittiamo dei portici per un giretto, prendiamo un improbabile aperitivo (con tartine non richieste ripiene di maionese – e solo maionese) e poi andiamo a cena nel più che tipico ristorante “Porto di Savona”.  Il posto ha compiuto da poco 150 anni di attività, ed è allestito come una tipica trattoria (ho saputo solo oggi, in realtà, che fa parte di una serie di ristoranti appartenenti a Piero Chiambretti…complimenti, ma il sito internet è fatto davvero male). Il personale è gentile ma un po’ brusco, soprattutto la cameriera più anziana. Nonostante avessimo prenotato, ci ha riservato un tavolo in mezzo alla piccola sala incastrato assieme ad altri due, in pratica ci sembra di cenare assieme ai nostri vicini…l’unica alternativa è un tavolo ancora più sfortunato, posto proprio sotto il getto dell’aria condizionata, tenuta a temperatura polare. “Non vorrà mica che la spegniamo!” ci intima brontolando la cameriera “ma per carità!”, rispondiamo noi, e ci rispostiamo incastrati tra gli altri commensali.
 
M. prende un antipasto misto in carpione che già di per sé è un piatto unico. Peccato non mi piaccia l’aceto, perché le pietanze hanno un aspetto gustoso: uova, zucchine, carne panata…praticamente una cena completa.  Io opto per un piatto meno tradizionale ma più fresco, l’orzo con pesto di..boh, non ricordo…zucchine??? Il fatto che io non ricordi l’ingrediente principale del piatto la dice lunga: in effetti era piuttosto insipido, non cattivo, ma nemmeno da ricordare. M. è temerario e prende anche un primo piatto. Io passo al dessert e assaggio il Bonnet, dolce tipico locale, un budino di nocciole e cioccolata, buono, fin troppo abbondante. Sbirciando sui tavoli accanto al nostro ho particolarmente apprezzato la vista dei piatti di brasato con puré di patate, che sembrava tanto appetitoso quanto terribilmente invernale, quindi, nonostante l’aria condizionata che rendeva sopportabile il piccolo ambiente, non ho osato chiederne un assaggio.

La cena nel complesso non è stata male, ma il tipo di locale, con il suo aspetto volutamente “vecchio” ma non troppo accogliente, le pareti marroncine, i tavolini attaccati tanto da partecipare involontariamente a tutte le conversazioni dei vicini, non è nelle mie corde. Tra l’altro, se l’aspetto richiama in tutto e per tutto quello di un’osteria di altri tempi, il conto è quello di un normale ristorante, perciò il lato “spartano” si limita all’aspetto esteriore e non a quello economico.
La pioggia, annunciata da tempo, ha continuato a cadere per tutta la sera e anche il giorno seguente, in cui abbiamo fatto un ultimo giro del centro tra portici e ombrelli aperti. Dall’hotel siamo arrivati in stazione verso l’ora di pranzo, preso un paio di panini in uno dei due bar aperti (la stazione di Porta Susa è poco accogliente, se potete vi conviene arrivare non troppo in anticipo perché potreste morire di noia).

Il nostro treno parte sotto il diluvio. E prosegue con rovesci a catinelle per tutto il percorso, tanto da rallentare il viaggio di almeno un’ora. Arriviamo a Roma un po’ frastornati, e piove ancora. Una situazione meteo un po’ folle, che prosegue per tutta questa estate imprevedibile e bizzarra.
 
Dopo questa esperienza a Torino resto con tanti ricordi nel cuore. Gli scoiattoli, la mia amica lontana (ma allo stesso tempo più “vicina” di tante persone che conosco nella mia città), le piazze, i portici. Felice di aver fatto questo viaggio, arricchita di novità, pronta a riempire di parole e foto i miei post. Non so se tornerò presto a visitare Torino ma sono felice di aver organizzato questa piccola “fuga”. Un viaggio, grande o piccolo che sia, è sempre un ottimo modo di festeggiare un evento speciale…e di eventi davvero speciali vi racconterò a breve nei prossimi post. 

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