martedì 24 giugno 2014

Istanbul - terzo giorno

(data originale post: 29/03/2008)

La giornata del sabato ad Istanbul inizia con la colazione yogurtosa all’ultimo piano dell’hotel.
Oggi abbiamo anche compagnia: un gabbiano sul davanzale mi guarda con aria perplessa mentre assaggio una fetta di ciambellone marmorizzato. Ha ragione lui: il ciambellone industriale non è un granché, è uguale dappertutto, ma se l’alternativa è un piatto di wurstel e uova sode preferisco comunque l’asettico confezionato.


Gabbiano sul davanzale - notare la casa diroccata sullo sfondo...

Questa mattina ci aspetta il Gran Bazar. Crediamo di fare la “scelta furba” ed andare a visitarlo di mattina presto, per trovare meno folla. E invece no. Così non funziona proprio. Attraversiamo una delle 20 porte che introducono in questo strano quartiere coperto, ma arrivare all’apertura non si rivela una buona idea. Lo scenario non è ancora pronto, ma solo “in preparazione”. Venditori che puliscono gli ingressi delle botteghe, molti negozi ancora chiusi, gente che si dirige al lavoro passando frettolosamente per le stradine tortuose, ma nessuno che si sofferma a guardare la merce esposta, insomma: interessante forse, ma squallido…come se tutto il meglio dovesse ancora arrivare. E noi fossimo lì al momento sbagliato.
Decidiamo di farci un giro e ritornare più tardi, quando la zona diventerà un po’ più animata e si rivelerà in tutto il suo caotico splendore.

Bazar alle 8.30, non ne vale la pena, è troppo presto!

Ci dirottiamo verso la Moschea Blu e nel frattempo, per compensarci della delusione iniziale, spunta il sole, che era rimasto nascosto per i primi due giorni.
Alla moschea c’è un bel po’ di fila, sono arrivati dei turisti con i bus. Facciamo una passeggiata fuori dalle mura, nella zona del vecchio ippodromo, e poi ci accodiamo agli altri visitatori.
Il clima è decisamente diverso rispetto agli altri luoghi che abbiamo visitato in orari strategici. Ci sono i veri turisti di massa, quelli che arrivano in comitiva, schiamazzano, se ne fregano degli inviti al silenzio e visitano luoghi sacri come se fossero centri commerciali o parchi a tema.
Nessuna delle donne si copre la testa. Io, che non sono religiosa neanche in patria, tiro fuori il mio foulard nero e lo metto sui ricci anche se sembro un calamaro gigante. Sarà uno scrupolo di troppo, ma la vedo come una questione di rispetto.
La moschea è enorme, imponente, luminosa e suggestiva. Come tutti i templi troppo grandi, non invita molto al raccoglimento, e infatti all’interno le cupole coperte di mattonelle colorate rimandano un gran brusio.

Interno della moschea - Foto rubata al mio compagno di viaggio

Nonostante tutto, ci sono persone che pregano nell’area dedicata. Sono solo uomini, le donne hanno una zona a parte, dietro una grata di legno. Le turiste straniere possono girare in modo più libero, camminare con gli altri a piedi scalzi sui bellissimi tappeti rossi, sorprendersi della luce che arriva dalle finestre e gioca coi colori dell’interno. Bello.

La mitica Moschea Blu

Usciamo dopo aver ammirato la Moschea in lungo e in largo, facciamo un mucchio di foto perché se le merita tutte, e ci prendiamo una piccola pausa seduti ai tavolini di un caffè all’aperto. Ci godiamo il sole, assaggiando un caffé orrendo (mai chiedere un espresso se non si vuole restare inevitabilmente delusi!) ma innamorandoci del paesaggio e della vita che si muove attorno a noi.

Dopo il break ritorniamo al Gran Bazar e, come previsto, adesso le vie sono più animate e brulicanti di vita. Non ci sono bancarelle, come mi sarei aspettata, ma tante botteghe piccole e grandi, alcune disposte su più piani. In vendita c’è un po’ di tutto, anche un po’ troppa paccottiglia, per i miei gusti, ma l’insieme è comunque suggestivo. Ceramiche di tutte le forme e colori, gioielli in oro, oggetti d’argento, manufatti in pelle, tappeti, tessuti, vestiti afgani, dolciumi, bigiotteria…ci si perde allegramente per le stradine, ogni tanto fermandosi ad ammirare un arco colorato, una fontana o per uscire all’aperto su un cortile interno e trovare un negozio curioso.
Entro da “Ali Baba” che vende abiti di danza orientale.
Non so cosa mi aspetterà, parlo col venditore, un ragazzo simpatico e infinitamente paziente che, al piano di sopra della sua vasta bottega, mi apre scatole su scatole…mi perdo in una marea di velluti, chiffon, lustrini, paillettes e perline…”questi costano di meno, ma vedi? Le perline sono tenute da un unico filo…questi invece sono più robusti…Non ti piace verde? Guarda, ce l’ho anche in viola…” e via così…Alla fine, c’era da aspettarselo, me ne vado via gongolante con il mio primo costume da danzatrice...quando lo metterò non si sa, ma sono felice dell’acquisto come una bambina con un giocattolo nuovo.

Acquistiamo anche un piatto di ceramica e qualche ciotolina da regalare. I negozianti sono gentili, ma c’è scarso margine di trattativa, perdono ben poco tempo una volta che hanno stabilito il prezzo, e in alcuni casi dopo che hai pagato anche più del previsto ti guardano come se li avessi derubati. Ma è il loro modo di fare. Gli articoli non sono convenienti e ogni sconto viene fatto pesare come una concessione estrema.
Affamati e soddisfatti per gli acquisti, ci fermiamo a mangiare in quello che la guida indica come il miglior ristorante del Bazaar, Havuzlu .
Qui un frettoloso cameriere ci indica in italiano i piatti da scegliere, disposti dietro un vetro che separa la zona ristorante dalla cucina.
Nonostante il metodo di scelta un po’ frettolosa, il cibo non è male e il locale è simpatico. Assaggiamo salsa di spinaci e di melanzane, e della carne saporita accompagnata da purè di patate.

Lampadario del ristorante Havuzlu

Una volta rifocillati, decidiamo di tornare all’aria aperta e visitare la zona che circonda il mercato, piena di botteghe, negozi e bancarelle con gli oggetti più diversi.
 
Servizio da té per grandi occasioni

Arriviamo passeggiando all’imponente cancello dell’Università, in una piazza piena di sole e di piccioni, camminiamo perdendoci nella confusione delle vie limitrofe, dove il traffico di auto e persone diventa sempre più intricato e difficile da affrontare. Una ripida stradina in discesa, in mezzo alla folla, conduce fino al mare. Qui ci fermiamo ad assaggiare l’ennesima specialità locale, un succo di melograno spremuto al momento, che si rivela aspro e annacquato ma che proprio non potevamo fare a meno di provare.
Arrivati vicino al ponte di Galata troviamo altre bancarelle, questa volta di un mercato alimentare. Carne, formaggi di tutti i tipi, olive, pesce, frutta. I venditori strillano per attirare i clienti e offrono assaggi dei loro prodotti.

E pensare che io detesto le olive!

Gli acquirenti non sono turisti, ma abitanti del luogo, che riescono con maestria a barcamenarsi tra gli spintoni e le ondate della gente che cammina nella direzione opposta. Noi ci divertiamo un po’ a curiosare, ma dopo un quarto d’ora cominciamo a sentirci un po’ stretti...Torniamo al Bazar delle Spezie, dove compriamo i tipici bicchierini da té in vetro (sicuramente non li useremo mai…ma sono proprio carini e non riusciamo a resistere) e poi torniamo in tram verso il nostro quartiere.
La cena si risolve con una ricca merenda tardiva: in città ci sono splendide pasticcerie, e non riusciamo a resistere al richiamo di un cilindro di cioccolata ripieno di pan di spagna, bavarese e lamponi.

La...merend...ehm...cena...

Ancora un giro per negozietti, una chiacchierata con un “buttadentro” di un ristorante carino in cui non ceneremo sicuramente, viste le calorie ingerite poco prima, e si rientra in hotel carichi di pacchetti.
Ci aspettano – ahimé – le valige del rientro, ma l’indomani abbiamo ancora mezza giornata in città…e vogliamo viverla tutta.

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